C’era una volta in un villaggio un contadino che aveva tre figli: due erano intelligenti e il terzo, Emelja, un babbeo. Quando il padre ebbe vissuto a lungo e si fu fatto vecchio, chiamò i suoi figli e disse loro: «Miei cari ragazzi! Sento che mi resta ben poco da vivere; vi lascio la casa e il bestiame, che vi dividerete in parti uguali; vi lascio anche del denaro, cento rubli a testa». Morì di lì a poco il padre e i figli, dopo averlo degnamente interrato, vivevano di buona intesa. Un giorno i fratelli di Emel’jan decisero di andare in città al mercato con quei trecento rubli che aveva lasciato loro il padre, e dissero allo sciocco Emel’jan: «Senti, sciocco, noi andiamo in città, prendiamo anche i tuoi cento rubli e, quando i nostri affari saranno andati in porto, riceverai anche tu la tua parte e ti compreremo un vestito rosso, un berretto rosso e degli stivali rossi. Aspettaci qui a casa; se le nostre mogli e tue cognate (tutti e due erano sposati) ti chiedono di fare qualcosa, fallo». Lo sciocco, incantato all’idea di avere un vestito rosso, un berretto rosso e degli stivali rossi, rispose ai fratelli che avrebbe fatto tutto quello che gli avessero domandato. Dopodiché i suoi fratelli partirono per la città, mentre lo sciocco restò a casa con le cognate.
Qualche tempo dopo, in una giornata d’inverno in cui gelava da spaccare le pietre, le due cognate volevano spedirlo a prendere l’acqua. Ma lo sciocco, sdraiato sulla stufa, replicò: «E voi?». Le cognate gli gridarono: «Come sarebbe, sciocco, e noi? Eppure vedi che fa un freddo cane, tocca a un uomo andare!». Ma quello disse: «Mi sento fiacco!». Le cognate di nuovo gli gridarono: «Come fiacco? Be’, se vuoi mangiare… perché senz’acqua non si può certo cucinare». E aggiunsero: «Va bene, diremo ai nostri mariti, quando torneranno, di non darti né il vestito rosso, né le altre cose che ti avranno comprato», sentendo la qual cosa lo sciocco, che desiderava tanto il vestito rosso e il cappello, si vide costretto ad andare, scese dalla stufa, si mise le scarpe e il cappotto. Finalmente pronto, prese dei secchi e un scure, se ne andò al fiume (perché il loro villaggio era proprio accanto a un fiume) e quando arrivò al fiume fece un buco nel ghiaccio, un buco enorme. Poi riempì i secchi d’acqua, li poggiò sul ghiaccio e rimase lì accanto a guardare l’acqua.
Ed ecco che lo sciocco vide nuotare nel buco un grosso luccio; a Emelja, nonostante fosse idiota, venne tuttavia in mente di catturarlo e per questo si avvicinò piano piano; gli andò vicino, lo acchiappò improvvisamente con la mano, lo tirò fuori dall’acqua e lo infilò sotto la giacca per portarselo a casa. Ma il luccio disse: «Che fai, sciocco? Perché mi hai catturato?». «Come perché?» rispose quello. «Ti porterò a casa e ti farò ccucinare dalle mie cognate». «No, sciocco, non portarmi a casa; lasciami andare; in cambio ti farò diventare un uomo ricco». Ma lo sciocco, diffidente, voleva andare a casa. Il luccio, vedendo che lo sciocco non lo mollava, disse: «Senti, sciocco, rimettimi nell’acqua; come ricompensa realizzerò anche il più piccolo dei tuoi desideri». Lo sciocco, a queste parole, si rallegrò molto, poiché era un terribile pigrone, e pensò: “Se il luccio realizzerà anche il mio più piccolo desiderio, tutto sarà fatto, non avrò più bisogno di lavorare!”. Disse al luccio: «Io ti lascerò libero, ma tu mantieni la tua promessa!», al che il luccio rispose: «Tu prima rimettimi nell’acqua, e poi salderò il mio debito». Ma lo sciocco pretese che il luccio prima mantenesse la sua promessa e poi lo avrebbe lasciato. Vedendolo così pstinato, il luccio disse: «Se vuoi che io ti dica come realizzare ogni tuo più piccolo desiderio, allora bisogna che tu ora mi dica quel che desideri». Lo sciocco gli disse: «Voglio che i miei secchi con l’acqua salgano da soli la montagna (il villaggio era su di un’altura) e che l’acqua non si versi». Il luccio gli disse subito: «Non temere, non si verserà! Ma ricorda le parole che sto per pronunciare; ecco di che si tratta: come il luccio comanda su mia domanda, risalite soli, secchi, la montagna!». Lo sciocco ripeté: «Come il luccio comanda su mia domanda, risalite soli, secchi, la montagna!», e all’istante secchi e bilanciere scalarono soli il pendio. Emelja ne rimase strabiliato; poi disse al luccio: «Sarà sempre così?». Al che il luccio rispose che «tutto sarà sempre come desidererai, ma non dimenticare le parole che ti ho detto». Allora lo sciocco lo rimise nell’acqua, e lui seguì i secchi. I suoi vicini, stupefatti, dicevano tra loro: «Ma che diavolo combina questo sciocco? I secchi con l’acqua si muovono da soli e lui dietro». Ma Emelja, senza dir loro una parola, giunse a casa; i secchi entrarono nell’izbà e si andarono a mettere sulla panca, mentre lo sciocco si arrampicò sulla stufa.
Qualche tempo dopo, le cognate tornarono alla carica: «Emelja come sei pigro! Dovresti andare a spaccare la legna». Ma lo sciocco replicò: «E voi allora?». «Come sarebbe a dire, e noi?» gli gridarono le cognate. «Siamo in inverno, no? E se non vai a fare la legna, avrai freddo anche tu». «Mi sento fiacco!», disse lo sciocco. «Come fiacco?» dissero le cognate. «Gelerai, andiamo». Poi aggiunsero: «Se ti rifiuti di andare a tagliare la legna, noi diremo ai nostri mariti di non darti né il vestito rosso, né il berretto rosso, né gli stivali rossi». Lo sciocco, che desiderava il vestito, il berretto e gli stivali rossi, fu obbligato a obbedire; ma poiché era oltremodo pigro e non aveva voglia di scendere dalla stufa, mormorò piano piano, sempre restando steso sulla stufa, queste parole: «Come il luccio comanda su mia domanda, scure, vai a spaccare la legna, e voi, ciocchi, entrate da soli nell’izbà e nella stufa». La scure all’improvviso si precipitò in cortile e si mise a lavorare; i ciocchi entrarono da soli nell’izbà per infilarsi nella stufa: il tutto sotto lo sguardo delle cognate, stupefatte per l’astuzia di Emel’jan. E così ogni giorno: appena ordinano allo sciocco di fare la legna, la scure fa da sola il suo dovere.
Ed egli visse con le cognate per qualche tempo; poi le cognate gli dissero: «Emelja, ora non abbiamo più legna; vai a tagliarne nel bosco». Lo sciocco disse loro: «E voi allora?». «Come sarebbe, e noi?» risposero le cognate. «Il bosco è lontano, e ora è inverno, avremmo freddo ad andare nel bosco per la legna». Ma lo sciocco disse loro: «Mi sento fiacco!». «Come fiacco?» gli dissero le cognate. «Sarai il primo a gelare; e poi, se ti rifiuti, allora quado arriveranno i tuoi fratelli, nostri mariti, diremo loro di non darti niente: né vestito rosso, né berretto rosso, né stivali rossi». Lo sciocco, che desiderava il vestito rosso, il berretto rosso e gli stivali rossi, fu obbligato ad andare nel bosco a far legna; si alzò, scese dalla stufa e in fretta si mise le scarpe e il cappotto.
Finalmente pronto, uscì in cortile, tirò fuori la slitta da sotto la tettoia, prese una corda e la scure, si sedette nella slitta e disse alle cognate di aprire il cancello. Le cognate, vedendolo nella slitta, ma senza il cavallo, poiché lo sciocco non aveva attaccato il cavallo, gli dissero: «Che fai, Emelja, seduto nella slitta, se non attacchi il cavallo?». Ma lui disse che non sapeva che farsene del cavallo e che gli aprissero solo il cancello. Le cognate aprirono il cancello e lo sciocco, seduto nella slitta, disse: «Come il luccio comanda su mia domanda, slitta, corri nel bosco!». A queste parole subito la slitta partì dal cortile, sotto gli occhi dei contadini vicini, sbalorditi di vedere Emel’jan passare in una slitta senza cavallo e a una buona andatura: se ne avesse avuti due di cavalli, non sarebbe andato certo più veloce! Siccome la strada per il bosco passava per la città, lo sciocco la attraversò; ma dato che non sapeva che bisognava gridare per non schiacciare la gente, passò senza gridare che si mettessero da un lato e investì parecchia gente; e sebbene gli corressero dietro, tuttavia non poterono raggiungerlo.
Emelja lasciò la città e arrivao nel bosco si fermò, scese dalla slitta e disse: «Come il luccio comanda su mia domanda, scure, taglia della legna, e voi, ciocchi, ammucchiatevi da soli sulla slitta e legatevi!». Detto fatto, la scure si mise all’opera e i ciocchi si ammucchiarono da soli sulla slitta e si legarono con la corda. Quando ebbe finito di tagliare la legna, ordinò ancora alla scure di tagliargli un bastone. Quando la scure l’ebbe tagliato, rimontò sul suo carro e disse: «Andiamo, come il luccio comanda su mia domanda, ritorna a casa da sola, slitta!». Subito la slitta partì a una buona andatura, ma quando passò nella città in cui aveva investito un sacco di gente, già lo stavano aspettando per saltargli addosso; appena entrato in città, fu preso e tirato giù dalla slitta; dopodiché iniziarono a picchiarlo. Lo sciocco, vedendo che lo avevano tirato giù e lo picchiavano, mormorò queste parole: «Come il luccio comanda su mia domanda, bastone, rompigli braccia e gambe!». Subito il bastone si sollevò e giù a bastonare tutti. E approfittando della confusione, lo sciocco se ne scappò a casa, mentre il bastone gli andava dietro dopo aver massacrato di botte gli assalitori. Appena arrivato a casa, Emelja si arrampicò sulla stufa.
Da allora, si cominciò a parlare di lui un po’ dappertutto. Non tanto di come aveva investito un sacco di gente, quanto dello strano modo che aveva di spostarsi in una slitta senza cavallo. Piano piano le dicerie giunsero fino alle orecchie del re. Appena il relo venne a sapere, fu preso dalla smania di vederlo e per questo mandò un ufficiale e alcuni soldati a cercarlo. L’emissario del re partì immediatamente dalla città e prese quella strada che lo sciocco aveva fatto per andare nel bosco. Arrivato al villaggio dove viveva Emelja, l’ufficiale convocò lo starosta, cioè l’anziano del villaggio e gli disse: «Sono stato mandato dal re a prendere il vostro sciocco per portarlo da lui». Lo starosta gli indicò subito lìizbà dove viveva Emelja, e l’ufficiale entrò nell’izbà e chiese: «Dov’è lo sciocco?», ma quello rispose da sopra la stufa: «Perché lo cerchi?». «Come perché? Vestiti in fretta; ti devo portare dal re». Ma Emelja replicò: «Per che fare?». L’ufficiale, esasperato da una tale insolenza, gli diede uno schiaffo. Lo sciocco, vedendo che lo battevano, mormorò: «Come il luccio comanda su mia domanda, bastone, rompigli braccia e gambe!». Subito il bastone saltò su e cominciò a bastonarli, e li massacrò tutti — ufficiale e soldati. L’ufficiale fu costretto a tornare indietro; arrivato in città, riportarono al re che lo sciocco li aveva massacrati tutti, Sorpreso e non potendo credere che lo sciocco da solo avesse avuto ragione di tutti loro, il re scelse una persona di spirito con l’incarico di portargli lo sciocco con qualsiasi mezzo, compreso l’inganno.
L’emissario del re si mise in cammino e, appena giunto al villaggio dove viveva Emelja, convocò lo starosta e gli disse: «Sono stato mandato dal re a prendere il vostro sciocco; tu fai venire qui quelli che abitano con lui». Lo starosta si affrettò ad andare a chiamare le cognate. L’emissario del re chiese loro: «Cosa piace al vostro sciocco?». Le cognate risposero: «Egregio signore, lo sciocco ama… se gli chiedete insistentemente qualcosa, la prima volta rifiuta, la seconda pure, ma alla terza la fa; non ama essere strapazzato». L’emissario del re le congedò, raccomandandosi di non dire a Emelja che le aveva chiamate. Poi comprò dell’uva passa, delle prugne e dei fichi secchi, andò dallo sciocco e, appena entrato nell’izbà, disse, avvicinandosi alla stufa: «Che fai steso là, Emelja?», e gli offre l’uva passa, le prugne e i fichi secchi e lo solletica: «Andiamo dal re, Emelja, ti ci porterò io». Ma lo sciocco disse: «Sto bene al caldo anche qui!», poiché non amava altro che il caldo. L’uomo, però, insisteva: «Andiamo, Emelja, ti prego; starai bene laggiù!». Lo sciocco diceva: «Mi sento fiacco!». L’altro riprese: «Vieni, ti prego; il re ti farà fare un vestito rosso, un berretto rosso, e degli stivali rossi».
Lo sciocco, sentendo che gli avrebbero dato un vestito rosso se fosse andato, disse: «Vai avanti, io ti seguo». L’emissario non insité oltre, si allontanò e chiese piano alle cognate: «Non sta cercando di ingannarmi lo sciocco?». Ma quelle gli garantirono che no. L’emissario dunque tornò indietro, mentre lo sciocco, dopo essere rimasto ancora un po’ steso sulla stufa, disse: «Ah, non ho proprio voglia di andare a trovare il re; ma pazienza!». Poi disse: «Allora, come il luccio comanda su mia domanda, stufa, vai dritta in città!». Subito l’izbà si spaccò, la stufa uscì fuori dall’izbà, lasciò il cortile e partì di volata, tanto veloce che sarebbe stato impossibile raggiungerla; e quello raggiunse ancora per strada l’emissario che era andato a prenderlo, e arrivò con lui a palazzo.
Quando il re vide che era arrivato lo sciocco, uscì con tutti i suoi ministri per vederlo e, accorgendosi che Emelja era arrivato sopra una stufa, non disse niente; poi il re gli chiese: «Perché hai investito tanta gente andando nel bosco per fare legna?». Ma Emelja disse: «Non è colpa mia! Perché non si sono fatti da parte?». In quel momento, la figlia del re si affacciò alla finestra e guardò lo sciocco; Emelja per casoalzò gli occhi verso la finestra di lei, e trovandola lo sciocco bellissima mormorò: «Vorrei, come il luccio comanda su mia domanda, che quella bella si innamorasse di me!». Appena dette queste parole, la figlia del re lo guardò e si innamorò di lui. Dopodiché lo sciocco disse: «Su, come il luccio comanda su mia domanda, stufa, torna a casa!». La stufa obbedì immediatamente e, giunta a casa, riprese il suo posto abituale.
Emelja ricominciò la sua vita tranquilla; ma diversamente andavano le cose a palazzo, poiché, dopo le parole dello sciocco, la figlia del re si era innamorata di lui e supplicava il padre di fargli sposare lo sciocco. Il re, furioso contro lo sciocco, non sapeva come ricondurlo là. Allora i ministri gli consigliarono di incaricare quell’ufficiale che era andato la prima volta da Emelja e non era stato capace di portarlo; l’idea piacque al re, che, per punizione, chiamò l’ufficiale. Quando l’ufficiale gli si presentò, il re gli disse: «Senti, caro, ti avevo mandato in precedenza a cercare lo sciocco, ma hai fallito; per punizione, ti ci mando un’altra volta: portamelo qui, costi quel che costi; se ci riuscirai, saprò ricompensarti, altrimenti sarai punito». L’ufficiale ascoltò il re e partì immediatamente per andare a prendere lo sciocco; quando arrivò al villaggio, covocò di nuovo lo starosta e gli disse: «Eccoti del denaro; compra il necessario per un buon pranzo e poi invita per domani Emelja:quando sarà da te a pranzo, fallo ubriacare finché non si addormenti».
Lo starosta sapeva che quello veniva da parte del re, fu costretto a obbedirgli; comprò il necessario e invitò lo sciocco. L’ufficiale seppe che Emelja aveva accettato l’invito e lo aspettava con grande gioia. Il giorno dopo arrivò lo sciocco; lo starosta iniziò a versargli da bere in grande quantità e lo fece ubriacare finché non si fu addormentato. L’ufficiale, vedendo che dormiva, lo legò subito, fece avvicinare la sua carrozza e poi ce lo mise dentro; quindi montò anche l’ufficiale nella carrozza e lo portò in città. Arrivato in città, lo condusse dritto a palazzo. I ministri annunciarono al re l’arrivo dell’ufficiale. Quando il re lo seppe, ordinò all’istante di portare un enorme barile cerchiato di ferro. Detto fatto. Il re, vedendo che tutto era pronto, ordinò di chiudere sua figlia e lo sciocco dentro il barile, di sigillarlo con del catrame; quando li ebbero chiusi nel barile e sigillati con il catrame, allora il re ordinò di gettarli in mare sotto i suoi occhi. Su suo ordine furono subito gettati, e il re tornò in città.
Ma il barile, abbandonato alle onde, galleggiò per alcune ore; lo sciocco continuava a dormire, ma quando si svegliò non vide altro che del nero e si chiese: «Dove sono?», credendosi solo. La principessa gli disse: «Emelja, sei in un barile con me». «E tu chi sei?», chiese lo sciocco. «La figlia del re», rispose lei e gli spiegò perché erano stati chiusi insieme nel barile; lo pregò poi di liberarli. Al che lui replicò: «Sto bene al caldo anche qui!». «Di grazia» lo implorava la principessa «abbi pietà delle mie lacrime; facci uscire tutti e due da questo barile». «Un corno!» rispose Emelja. «Mi sento fiacco!» La principessa lo supplicò di nuovo: «Di grazia, Emelja, liberami da questo barile, non mi far morire». Lo sciocco, commosso dalle preghiere e dalle lacrime di lei, le disse: «E sia, lo farò per te». Poi mormorò: «Come il luccio comanda su mia domanda, mare, lancia il barile in cui siamo sulla riva, all’asciutto, il più vicino possibile al nostro paese; e tu, barile, quando sarai all’asciutto, apriti da solo!».
Appena lo sciocco ebbe pronunciato queste parole, il mare iniziò ad agitarsi e proiettò il barile sulla riva all’asciutto, e il barile si aprì da solo. Emelja si alzò e insieme alla principessa si incamminò per la spiaggia; lo sciocco si rese conto che erano in un’isola magnifica, dove cresceva ogni sorta di albero carico di frutta. La principessa, vedendo tutto quel ben di Dio, si rallegrò moto di essere capitata in un’isola tanto bella; dopodiché disse: «Allora, Emelja, dove abiteremo? Poiché qui non c’è nemmeno una capanna». Ma lo sciocco rispose: «Come sei difficile!». «Di grazia, Emelja, fai apparire una casetta» diceva la principessa «per poterci riparare quando piove»; infatti la principessa sapeva che lui poteva fare ciò che voleva. Ma lo sciocco replicò: «Mi sento fiacco!». Lei tornò alla carica e Emelja, commosso dalle sue preghiere, finì per acconsentire; si allontanò da lei di qualche passo e disse: «Come il luccio comanda su mia domanda, che in mezzo all’isola appaia un palazzo più bello di quello del re e che il mio palazzo sia unito a quello reale tramite un ponte di cristallo, e nel palazzo abitino persone di ogni condizione». Appena ebbe pronunciato queste parole, apparvero all’istante un vasto palazzo e un ponte di cristallo. Lo sciocco, accompagnato dalla principessa, entrò nel palazzo e passò per saloni riccamente ammobiliati, con molta gente, valletti e portantini, pronti ai suoi ordini. Lo sciocco, vedendosi più misero e stupido delle altre persone, desiderò migliorare e perciò disse: «Come il luccio comanda su mia domanda, che io diventi bello come nessuno e straordinariamente intelligente!». Fece appena in tempo a pronunciare queste parole, che divenne all’istante di una bellezza e un’intelligenza sorprendenti.
Allora mandò Emelja uno dei suoi servitori al re per invitarlo da lui con tutti i ministri. Il messaggero di Emelja andò dal re passando per il ponte di cristallo creato dallo sciocco; arrivato a palazzo, i ministri lo condussero davanti al re e il messaggero di Emelja disse: «Sire! Sono stato mandato dal mio padrone con l’incarico di invitarvi a cena». Il re chiese: «Chi è il tuo padrone?». Al che il messaggero replicò: «Non posso dirvelo (lo sciocco gli aveva raccomandato di mantenere il segreto); del mio padrone non si sa niente; vi parlerà lui stesso di sé durante la cena». Punto dalla curiosità di sapere chi l’avesse invitato, il re disse al messaggero che sarebbe andato senza meno. Appena partito il messaggero, il re si mise subito in strada con tutti i suoi ministri. Il messaggero, al suo ritorno, disse che il re non avrebbe mancato di venire: infatti il re stava già arrivando dallo sciocco attraverso il ponte di cristallo, attorniato dai suoi signori.
Appena il re arrivò a palazzo, Emelja gli si fece incontro, lo prese per le bianche mani, lo baciò sulle labbra zuccherine, lo fece entrare gentilmente nel suo palazzo di pietra bianca, lo fece sedere a tavoli di quercia coperti di tovaglie preziose e carichi di cibi succulenti e bevande delicate. Il re e i ministri mangiarono e bevvero a volontà e stettero in allegria; terminata la cena e sedutisi nel salotto, lo sciocco disse al re: «Sire, mi riconoscte?». Il re disse di no, poiché Emelja era irriconoscibile a causa dei suoi abiti sontuosi e della bellezza del viso. Ma lo sciocco disse: «Vi ricordate, Vostra Maestà, dello sciocco che era venuto al vostro palazzo su di una stufa e che voi faceste chiudere con vostra figlia in un barile e gettare in mare? Ebbene, guardatemi, sono io quell’Emelja!». Il re, vedendolo davanti a sé, si spaventò molto e non sapeva che fare; nel frattempo, lo sciocco era andato a chiamare la principessa e la portò davanti a suo padre. Il re, vedendo la figlia, si rallegrò molto e disse allo sciocco: «Per riparare ai miei torti, ti do mia figlia in sposa». Lo sciocco ringraziò umilmente il re e, dato che aveva preparato già tutto per le nozze, queste furono celebrate il giorno stesso, in pompa magna. Il giorno dopo, lo sciocco offrì un magnifico festino a tutti i ministri e fece preparare all’aria aperta dei tini di bevande varie per la gente del popolo. Alla fine dei festeggiamenti, il re parlò di cedergli il suo reame, ma Emelja rifiutò. Dopodiché, il re se ne tornò nel suo reame e lo sciocco visse felice e contento nel suo palazzo.
♦ “Masha e l’Orso e altre fiabe popolari russe”,
Raccolte da A. N. Afanas’ev ♦
Rompiamo il Silenzio!