Archivi del mese: novembre 2016

La principessa-Musona.

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Il mondo è proprio grande! Ci vivono i ricchi e i poveri, e c’è spazio per tutti, e Dio vede e giudica tutti allo stesso modo. Ci vivono gli opulenti, e festeggiano; ci vivono i poveretti, e lavorano; a ognuno il proprio destino!
Nei palazzi reali, nelle sale principesche, in un alto appartamento si pavoneggiava la principessa-Musona. Che vita faceva, che libertà, che lusso! Aveva tutto quello che una persona può desiderare; e tuttavia non sorrideva mai, non rideva mai, il suo cuore non si era mai rallegrato per niente.
Lo zar suo padre non sopportava più di vedere la figlia triste. Aveva aperto i suoi palazzi reali a chiunque volesse essere suo ospite. «Che tentino» dice «di rallegrare la principessa-Musona; chi ci riuscirà, quello la avrà in moglie». Appena pronunciate queste parole, subito un sacco di gente iniziò ad affluire ai portoni reali! Vengono da ogni parte, a cavallo, a piedi, principi e zar, boiari e cortigiani, militari e gente semplice; iniziarono festini, scorreva l’idromele: la principessa continuava a non ridere.
All’altro estremo del paese, nel suo angoletto, viveva un onesto bracciante; ogni mattina il cortile puliva, ogni sera il bestiame pascolava, senza sosta lavorava. Il suo padrone — un uomo ricco, sincero, non lo ingannava sulla paga. Appena finì l’anno, gli mise un sacchetto di soldi sul tavolo: «Prendi» dice «quanto vuoi!», e poi uscì. Il bracciante si avvicinò al tavolo e pensa: che non sia un peccato davanti a Dio, che non abbia dato troppo per un lavoro? Prese solo un soldino, lo strinse nel pugno e pensò di bere un po’ d’acqua, si chinò su un pozzo, il soldino gli cadde e andò a fondo.
Rimase, poveretto, senza niente. Un altro al suo posto avrebbe pianto, si sarebbe afflitto e per l’angoscia avrebbe incrociato le braccia, ma lui no. «È Dio» dice «che manda tutto; il Signore sa cosa dare e a chi: a qualcuno distribuisce soldi, a qualcuno toglie gli ultimi. Evidentemente, non sono stato abbastanza zelante, ho faticato poco, ora diventerò più solerte!» E di nuovo si mise al lavoro: ogni cosa nelle sue mani aveva ottima riuscita! Finì il termine, passò ancora un anno, il padrone gli mise un sacchetto di soldi sul tavolo: «Prendi» dice «quanto vuoi!», e poi uscì. Il bracciante di nuovo pensa di non far adirare Dio, di non prendere troppo per il lavoro; prese un soldino, andò a bere e inavvertitamente si lasciò scappare di mano il soldino, che cadde nel pozzo. Con più solerzia ancora si mise al lavoro: la notte non dorme a sufficienza, il giorno non mangia abbastanza. Guarda: a uno il grano diventa secco, giallo, al suo padrone, invece, sempre più bello; a uno il bestiame ha le zampe deboli, mentre il suo scalcia per la strada; uno deve trascinare i cavalli, mentre i suoi non si riescono a tenere per le briglie. Il padrone sapeva chi ringraziare, a chi un bravo dire. Finì il termine, passò il terzo anno, quello mise un mucchio di soldi sul tavolo: «Prendi, caro, quanto vuoi; tuo il lavoro e tuoi anche i soldi!», e uscì.
Prende il bracciante sempre un soldino, va al pozzo a bere l’acqua — guarda: l’ultima moneta è salva, e le altre due vennero a galla. Le prese, indovinò che Dio lo aveva ricompensato per le sue fatiche, si rallegrò e pensa: “È tempo che vada in giro per il mondo a conoscere gente!”. Dopodiché si mise in cammino senza una meta. Cammina per un campo, passa di corsa un topo: «Forgiatore, caro compare! Dammi un soldino; io ti sarò utile!». Gli diede un soldino. Cammina per un bosco, si trascina un maggiolino: «Forgiatore, caro compare! Dammi un soldino; io ti sarò utile!». Diede anche a quello un soldino. Attraversava un fiume, incontrò un siluro: «Forgiatore, caro compare! Dammi un soldino; io ti sarò utile!». Non disse di no neanche a questo, gli diede l’ultimo soldino.
Arrivò quindi in città; quanta gente, quante case! Guardava, si girava il bracciante da tutte le parti, non sapeva dove andare. Davanti a lui si ergono i palazzi reali, ornati d’oro e d’argento, accanto alla finestra siede la principessa-Musona e lo guarda dritto negli occhi. Dove nascondersi? Gli si annebbiarono gli occhi, fu preso dal sonno, e cadde direttamente nel fango. Da non si sa dove saltarono fuori il siluro dal baffo scuro, dietro di lui il maggiolino-vecchino e il topolino-pelatino. Si danno da fare, fanno tenerezza: il topolino gli toglie l’abitino, il maggiolino lustra lo stivalino, il siluro caccia via un moschino. La principessa-Musona a furia di guardare i loro servizi si mise a ridere. «Chi, chi ha rallegrato mia figlia?», chiede lo zar. Uno dice: «Io»; un altro: «Io». «No!» disse la principessa-Musona. «Ecco chi è stato!», e indicò il bracciante. Subito lo portarono a palazzo, e il bracciantesi presentò davanti allo zar giovane e bello! Lo zar mantenne la sua parola di re; quel che aveva promesso, quello diede. Io dico: non ha forse il bracciante sognato tutto? Mi assicurano che no, andò proprio così: allora bisogna crederci.

 

♦ “Masha e l’Orso e altre fiabe popolari russe”,
Raccolte da A. N. Afanas’ev

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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In Busta Chiusa: V – Veloce

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Veloce come un bel libro

 

Sai, piccola L,
il mondo è un posto strano.
Ha tante cose bellissime, ma anche tanti difetti.
Uno dei peggiori, forse perché non c’è modo di correggerlo, è il suo sfrecciare veloce attraverso il monotono ma inesorabile ticchettio del tempo.

È difficile da spiegare, soprattutto a chi, come te, vive ancora ogni giornata come un’avventura piena di novità da scoprire, posti da esplorare, cose da imparare.
Tu stessa sembri crescere a una velocità folle e incontrollabile.
Veloce è il continuo cambiamento dei tuoi lineamenti, delicati eppure così espressivi.
Veloce è l’arricchimento del tuo fantasioso e originale vocabolario.
Veloce, ormai, è il tuo passo quando sali e scendi le scale senza neanche più appoggiare la manina al muro per non perdere l’equilibrio, proprio “come fanno i grandi”.

Molto presto il variopinto universo della zia smetterà di affascinarti, quel mondo fantastico che in realtà è solo una mansarda in cui l’accumulatrice compulsiva che c’è in me ha dato sfogo alla propria indole.
Molto presto vedrai molte delle mie cose per quello che sono realmente, cianfrusaglie, e allora forse l’aura “magica” che circonda la zia perderà un po’ della sua luce, ma vorrei che del gran caos di quei locali ricordassi una cosa in particolare: i libri, l’enorme quantità di libri.

Sono sicura che, giorno dopo giorno, sarai sempre un pochino più consapevole e più capace di costruirti da te la tua strada, ma so anche che plasmerai quella strada valutando quel che hai intorno: cose belle e cose brutte, utili e inutili, persone buone e persone cattive, atteggiamenti positivi e atteggiamenti negativi, esperienze che fanno bene ed esperienze che, pur avendo una lezione da insegnare, fanno male.

Quello che vorrei ti restasse impresso è che nessuno è perfetto, nemmeno nella cerchia dei “grandi” che tu ora vedi come invincibili, ma molto di quel che della zia ti piace, molto di quel che ho di buono deriva dal mio amore per i libri.

Tanti tanti anni fa Cicerone ha detto che “Una stanza senza libri è come un corpo senz’anima” ed è proprio questo il punto: ognuno dei circa 6000 volumi che ho “adottato” in 32 anni di vita è un tassello del caleidoscopico mosaico della mia anima.
Ogni libro è un’emozione, un ricordo, una persona, un momento, un segnalibro per fissare nella memoria un passaggio importante di un libro ben più articolato e complesso: la vita.

Non si può sapere cosa ci sia in serbo per noi nella pagina successiva, ma questa è la prospettiva con cui vorrei che continuassi a pensare alla zia, a me, anche quando il tempo ti avrà incastrata nel suo veloce e inarrestabile vorticare.
Mi piacerebbe che, proprio come me, scegliessi di conservare qualcuno dei tuoi primi libri e che, fra quelli, ce ne fosse almeno uno di quelli che ti ho regalato io, trasformato, o almeno così spero, in un segnalibro messo a contrassegno di uno di quei ricordi a cui si ripensa sempre col sorriso, in quel libro ancora tutto da scrivere che è la tua, di vita.

Ricorda, piccola L,
non importa quanto veloce il tempo e la vita mi costringeranno a correre per non perdere il passo, per non perdermi nulla di ciò che hanno da offrire: una cosa che non perderò mai sarà la capacità di mettere tutto in pausa, perfino la folle e impetuosa corsa del tempo, ogni volta che avrai bisogno di me, perché i momenti trascorsi con te sono i paragrafi del libro della mia vita che scorrono più veloci, ma anche quelli che non posso fare a meno di sottolineare con un delicato ma deciso tratto di matita, così che risaltino sul confuso e indistinto sfondo della quotidianità.

Ti voglio bene,
Zia V

 

In Busta Chiusa n. 22, un progetto di Cartaresistente
Lettera V di VeRA Marte
Illustrazioni di Davide Lorenzon

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La favola della capra scuoiata.

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Una capra cocciuta, per metà fianco scuoiata!… Ascolta, sta’ a sentire! C’era una volta un contadino, che aveva un leprottino. Ecco che andò il contadino nel campo; là vide una capra distesa con metà fianco scuoiato e metà no. Il contadino ne ebbe pietà, la prese, la portò a casa e la mise sotto il fienile. Dopo aver mangiato e riposato un po’, andò nell’orto, e il leprottino dietro. Allora la capra da sotto il fienile nell’izbà si intrufolò e con un gancetto ci si barricò.
Ecco che il leprottino ebbe voglia di mangiare un boccone e corse alla porta dell’izbà; un colpo con la zampa: la porta era chiusa! «Chi c’è?», chiede il leprottino. La capra risponde: «Sono la capra cocciuta, per metà fianco scuoiata; se esco, tutto il fianco romperò!». Il leprottino, abbattuto, si allontanò dalla porta, arrivò in strada e piange. Gli si fece incontro un lupo. «Perché piangi?», chiese il lupo. «Nella nostra izbà c’è qualcuno», disse tra le lacrime il leprottino. E il lupo: «Vieni con me, io lo caccerò!». Arrivarono alla porta. «Chi c’è?», chiese il lupo. La capra iniziò a pestare coi piedi e disse: «Sono la capra cocciuta, per metà fianco scuoiata; se esco, tutto il fianco romperò!».
Allora quelli si allontanarono dalla porta. Il leprottino di nuovo si mise a piangere e uscì in strada, mentre il lupo corse via nel bosco. Va incontro alla lepre un gallo: «Perché piangi?». Il leprottino glielo disse. Allora il gallo dice: «Vieni con me, io la caccerò!». Arrivati alla porta, il leprottino, per spaventare la capra, grida: «Arriva il gallo dalle piume belle, con una sciabola sulle spalle, viene un’anima a rovinare, la testa della capra a tagliare». Eccoli vicini; il gallo chiede ancora: «Chi c’è?». La capra come le altre volte: «Sono la capra cocciuta, per metà fianco scuoiata; se esco, tutto il fianco romprò!».
Il leprottino ancora una volta con le lacrime agli occhi uscì in strada. Lì gli si avvicinò a volo un’ape, volteggiò ronzando e chiede: «Cosa ti hanno fatto? Perché piangi?». Il leprottino glielo disse e l’ape volò all’izbà. Là chiese: «Chi c’è?». La capra rispose come le altre volte. La piccola ape si arrabbiò, iniziò a volare intorno alle pareti; ronzò, ronzò, e un buchetto trovò, ci si infilò e punzecchiò la capra scuoiata sul fianco nudo, facendole venire un bozzo. La capra si lanciò fuori dalla porta, e chi s’è visto s’è visto! Allora il leprottino corse nell’izbà, mangiò e bevve a sazietà e si mise a dormire. Quando il leprottino si sveglierà, allora anche la favola ricomincerà.

 

♦ “Masha e l’Orso e altre fiabe popolari russe”,
Raccolte da A. N. Afanas’ev

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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La gru e l’airone.

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Volava una civetta, una testa matta; volò, volò, poi si fermò, la coda girò, da ogni parte guardò, e poi di nuovo volò; volò, volò, poi si fermò, la coda girò e da ogni parte guardò… Ma questa è la premessa, la fiaba viene adesso.
C’erano una volta in una palude una gru e un airone che si erano costruiti delle belle casette. L’airone si era stufato di vivere da solo, così decise di prendere moglie. «Andrò a chiedere in moglie la gru!»
Andò l’airone — ciaf, ciaf! Per sette verste camminò nella palude; arriva e chiede: «È in casa la gru?». «Sì». «Sposami!» «No airone, non ti sposerò, hai le gambe lunghe, il vestito corto, voli in modo goffo, e non hai di che nutrirmi! Vattene, collolungo!» L’airone, con le pive nel sacco, se ne tornò a casa.
Ma la gru ci ripensò e disse: «Piuttosto che vivere sola, è meglio sposare l’airone». Arriva dall’airone e dice: «Airone sposami!». «No, gru, non ho bisogno di te! Non voglio sposarmi non ti prenderò in moglie. Fila!» La gru si mise a piangere dalla vergogna e tornò indietro. L’airone ci ripensò e disse: «Ho fatto male a non prendermi la gru, da solo mi annoio proprio. Ora vado e la prendo in moglie& raquo;. Arriva e dice: «Gru! Ho avuto l’idea di prenderti in moglie; sposami&raquo:. «No, airone; non ti sposerò!» Tornò l’airone a casa.
Allora la gru ci ripensò: «Perché ho rifiutato? Perché vivere da sola? È meglio sposare l’airone!». Va a combinare il matrimonio ma l’airone non vuole. Ecco come avvenne che in quel periodo andarono a chiedersi reciprocamente in matrimonio, ma poi non si sposarono mai.

 

♦ “Masha e l’Orso e altre fiabe popolari russe”,
Raccolte da A. N. Afanas’ev

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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La saggia fanciulla e i sette briganti

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C’era una volta un contadino che aveva due figli: il minore era sempre in viaggio, il maggiore sempre a csa. Quando il padre fu in punto di morte, decise di lasciare tutto in eredità al figlio che stava in casa, mentre all’altro non lasciò niente; pensava che si sarebbero messi d’accordo tra di loro. Alla sua morte, il figlio maggiore lo seppellì e si tenne tutta l’eredità per sé. Torna l’altro figlio e piange amaramente perché il padre non è più tra i vivi. Il maggiore gli dice: «Il babbo ha lasciato tutto a me!». Lui non aveva figli, mentre il minore aveva un figlio suo e una figlia adottiva.
Il maggiore con i soldi dell’eredità divenne ricco, e prese a commerciare su larga scala; il minore, invece, rimase povero, tagliava la legna nel bosco e la vendeva al mercato. I vicini, impietositi di fronte alla sua povertà, fecero una colletta e gli diedero dei soldi perché potesse aprire un negozietto. Ma il poveretto, impaurito, dice loro: «No, brava gente, non posso accettare i vostri soldi; se dovessi fallire come potrei ripagarvi il debito?». Allora due dei vicini si misero d’accordo per dargli dei soldi con l’astuzia. Quando il poveretto andò nel bosco a tagliare la legna, uno di loro lo raggiunse facendo un giro più lungo e dice: «Ho deciso, fratello, di fare un lungo viaggio; per la strada un debitore mi ha ridato trecento rubli: non so proprio dove acciarli! Non mi va di tornare a casa; prendili tu, te ne prego, e conservali, anzi, investili in qualcosa; io tornerò tra parecchio tempo; mi rimborserai poco a poco».
Il poveretto prese i soldi e li portò a casa; teme di perderli, o che la moglie li trovi e li speda credendoli suoi. Pensa che ti ripensa, li mise nel secchiello della cenere e uscì. In sua assenza, arrivarono quelli che raccoglievano la cenere: comprano la cenere e la scambiano con altra merce. La moglie prese il secchiello con la cenere e glielo diede. Tornò a casa il marito, vede che il secchiello non c’è più, e chiede: «Dov’è la cenere?». La moglie risponde: «L’ho venduta». Quello fu preso dal panico, si dispera, si affligge, ma non dice una parola. La moglie vede che è triste; gli si avvicinò: «Che guaio ti è successo? Perché sei così triste?». Lui le raccontò che nella cenere erano nascosti dei soldi non suoi; la donna si arrabbiò molto — e dà in smanie, e piange: «Perché non hai avuto fiducia in me? Io avrei trovato un miglior nascondiglio!».
Di nuovo andò il contadino a fare legna per poi venderla al mercato e comprare del pane. Lo raggiunge l’altro vicino, gli dice le stesse cose del primo e gli dà da tenere cinquecento rubli. Il poveretto non li prende, rifiuta, ma quello di forza gli ficcò i soldi in mano e se ne andò in fretta per la sua strada. Stavolta i soldi erano in banconote; pensa che ti ripensa: dove metterli? Finì per nasconderli nella fodera del suo cappello. Arrivato nel bosco, appese il cappello a un abete e iniziò a tagliare la legna. Per sua sfortuna arrivò un corvo e rubò il cappello con i soldi. Il contadino si disperò, si afflisse, ma, alla fine, se ne dovette fare una ragione! Continua a vivacchiare come prima, a vendere legna e altre cose senza valore, a sbarcare il lunario in qualche modo. Vedono i vicini che è passato un bel po’ di tempo e il povero non ha fatto fortuna; gli chiedono: «Che succede, fratello, ti vanno male gli affari? O hai paura di usare i nostri soldi? Se è così, è meglio che tu ce li renda». Il poveretto si mise a piangere e raccontò come aveva perso i loro soldi. I vicini non gli credettero e lo citarono in tribunale. “Come risolvere questa questione?” pensa il giudice. “Il contadino è una persona umile, senza un soldo, non gli si può prendere niente; se lo si mette in prigione, morira di fame!”
Il giudice sedeva, rattristato, vicino alla finestra e meditava. In quel momento, manco a farlo apposta, per la strada stavano giocando dei ragazzini. Uno di loro, un tipo svelto, dice: «Io ero il borgomastro e voi, ragazzi, venivate da me con delle lamentele per avere il mio giudizio». Si sedette su di una pietra; gli si avvicina un altro ragazzino, gli fa un inchino e dice: «Io ho prestato del denaro a questo contadino e ora lui non me lo vuole restituire; sono venuto a pregarti di prendere dei provvedimenti contro di lui ». «Hai avuto un prestito?», chiede il borgomastro al colpevole. «Sì». «Perché non paghi?» «E con che cosa, batjuška?» «Senti, supplic! Lui non nega di aver avuto in prestito da te del denaro, ma non può ridartelo; accordagli ancora cinque o sei anni, forse se la passerà meglio e potrà pagarti con gli interessi. D’accordo?» I due ragazzini si inchinarono al borgomastro: «Grazie, batjuška! Siamo d’accordo». Il giudice, che aveva sentito tutto, si rallegrò e dice: «Quel ragazzino mi ha dato una bella idea! Dirò anch’io ai miei supplici di accordare dell’altro tempo a quel poveretto». Convinse i due ricchi vicini ad aspettare due o tre anni; forse per allora il contadino se la sarebbe passata meglio!
Ecco che il poveretto di nuovo andò nel bosco a fare la legna, ne tagliò da riempire mezzo carretto — e si fece buio. Decise di restare la notte nel bosco: «Domani tornerò a casa con un carretto pieno». E pensa: devo dormire? Il posto era selvaggio e c’erano molte bestie feroci; se si fosse steso accanto al cavallo, probabilmente lo avrebbero divorato. Si inoltrò nel folto del bosco e si arrampicò su di un grosso abete. Durante la notte arrivarono proprio in quel posto dei briganti — sette in tutto e dicono: «Porticina, porticina, apriti!». Subito si aprì la porta di un sotterraneo; i briganti presero a portarci il loro bottino, lo portarono tutto e comandano: «Porticina, porticina, chiuditi!». La porta si chiuse e i briganti se ne andarono a procurarsi dell’altro bottino. Il contadino, che aveva visto tutto, quando intorno a lui ci fu silenzio, scese dall’albero: «E se provassi anch’io a vedere se mi si apre la porta o no?». E appena disse: «Porticina, porticina, apriti!», all’istante quella si aprì. Entrò nel stterraneo, guarda: mucchi d’oro, di argento e ogni sorta di ricchezze. Si rallegrò il poveretto e all’alba prese a caricare i sacchi con le monete; buttò giù la legna, caricò il carro di argento e di oro e via a casa.
Gli va incontro la moglie: «Oh, caro marito! Già mi stavo consumando dall’angoscia al pensiero d cosa ti fosse successo. Temevo che un albero ti avesse travolto o che le bestie feroci ti avessero divorato!». E il contadino, raggiante: «Non ti tormentare, moglie! Dio ci ha mandato la fortuna, ho trovato un tesoro; aiutami a portare dentro i sacchi». Finito il lavoro, adò dal fratello ricco; gli raccontò tutta la faccenda e gli propone di approfittare della fortuna insieme a lui. Quello acconsentì. Andarono insieme nel bosco, trovarono l’abete e gridarono: «Porticina, porticina, apriti!». La porta si aprì. Iniziarono a caricare i sacchi con le monete; il fratello povero riempì un carro e si ritenne soddisfatto, il ricco invece non ne aveva mai abbastanza. «Tu fratello» dice il ricco «va’ pure, io ti ragiungerò tra poco». «Bene! Ma non scordare di dire: Porticina, porticina, chiuditi!» «No, non lo scorderò». IL povero se ne andò, il ricco invece non riusciva proprio a staccarsi da quel luogo: non poteva portar via tutto in una sola volta, ma non aveva la forza di abbandoare qualcosa! La notte lo sorprese. Arrivarono i briganti, lo trovarono nel sotterraneo e gli tagliarono la testa; tirarono giù i sacchi dal suo carro, al loro posto misero il cadavere, spronarono il cavallo e lo lasciarono correre. Il cavallo corse fuori dal bosco e riportò il corpo a casa. Allora, il capobanda se la prese con il brigante che aveva ucciso il fratello ricco: «Perché l’hai fatto fuori così presto? Bisognava prima chiedergli dove abitava. Ci hanno rubato molte ricchezze: evidentemente è stato lui a farlo! Dove le troveremo adesso?». Il capo dice: «Che se la sbrighi quello che l’ha ucciso!».
Non molto tempo dopo l’assassino si mise a fare indagini. Capita casualmente nel negozietto del fratello povero; mentre comprava qualche cosuccia, notò che il padrone era abbattuto, rifletté un po’ e poi chiede: «Perché sei così avvilito?». E quello dice: «Avevo un fratello maggiore, ma è successa una disgrazia: qualcuno l’ha ucciso, l’altro ieri il cavallo l’ha riportato a casa con la testa tagliata, e oggi l’abbiamo sepolto». Il brigante capisce di essere sulla buona pista e giù a fare domande; faceva finta di essere molto dispiaciuto. Venne a sapere che il morto aveva lasciato una vedova, e chiede: «La poveretta ha un tetto?». «Certo, una bella casa!» «E dove? Fammi vedere!» Il contadino accompagnò l’uomo e gli mostrò la casa del fratello; il brigante prese un pezzetto di gesso rosso e fece un segno sul portone. «A che ti serve?&raquo, gli chiede il contadino. E quello risponde: «Voglio aiutare la vedova e per trovare più facilmente la casa ci ho fatto un segno». «Ehi, fratello! Mia cognata non ha bisogno di niente: grazie a Dio, ha tutto a sufficienza». «E tu dove abiti?» «Quella è la mia casetta». Il brigante fece un segno anche sulla sua porta. «E questo perché?» «Tu» dice «mi sei molto piaciuto; verrò ogni tanto a passare la notte da te; credimi, fratello è nel tuo interesse!» Tornò il brigante dai suoi coplici, raccontò tutto per filo e per segno, e decisero di andare durante la notte a derubare e ammazzare gli abitanti delle due case e a riprendersi il loro oro.
Il povero tornò a casa e dice: «Ho appena fatto la conoscenza di un giovane che ha segnato la mia porta: verrò, ha detto, a passare di tanto in tanto la notte da te. Un bravo giovane! E come si è dispiaciuto della morte di mio fratello, voleva aiutare la vedova!». La moglie e il figlio ascoltano, ma la figlia adottiva gli dice: «Padre, sei sicuro di non sbagliarti? Andrà bene come dici? O non erano forse i briganti che hanno ucciso lo zio e che ora vogliono recuperare i loro averi e ci cercano? Se ci aggrediscono e ci derubano, non ci salveremo da una morte sicura!». Il contadino si spaventò: «È possibile! Infatti non l’avevo mai visto prima. Che guaio! Che possiamo fare?». Ma la figlia dice: «Vai a prendere l, padre, dei gessi colorati e fa’ gli stessi segni su tutte le porte del vicinato». Il contadino uscì e segnò tutte le porte del vicinato. Arrivarono i briganti e non riuscirono a raccapezzarsi; tornarono indietro e le diedero di santa ragione all’informatore: perché non aveva fatto segni più chiari? Alla fine fecero una considerazione: «Evidentemente, abbiamo a che fare con un furbo!» e poi prepararono sette botti; nelle prime sei botti entrarono altrettanti briganti e nella settima misero dell’olio.
Andò il solito informatore con quelle botti dritto dal fratello povero, arrivò verso sera e chiese di poter dormire là. Quello lo ricevette da buon conoscente. La figlia uscì nel cortile, si mise a osservare le botti: ne aprì una — olio, cercò di aprirne un’altra — niente da fare, non si apriva; poggiò l’orecchio e sente che nella botte qualcuno si muove e respira. “Eh” pensa “qui gatta ci cova!” Rientrò nell’izbà e dice: «Padre! Cosa offriamo al nosto ospite? Io vado ad accendere la stufa nel retro e a preparare qualcosa per la cna». «Va bene, vai!» La figlia se ne andò, accese la stufa e, mentre cucina, fa scaldare dell’acqua, prende l’acqua bollente e la versa nelle botti; tutti i briganti morirono lessati. Il padre e l’ospite finirono di cenare; la figlia, intanto, sta nel retro dell’izbà e resta all’erta: cosa sarebbe successo? Quando i padroni si furono addormentati, l’ospite uscì nel cortile, fischiò: nessuno risponde; si avvicina alle botti, chiama i compagni: nessun segno di vita; apre le botti: ne viene fuori vapore bollente. Indovinò il brigante l’accaduto, attaccò i cavalli e filò via di lì con le botti.
La figlia sprangò la porta, andò a svegliare i suoi familiari e raccontò loro quel che era successo. Il padre dice: «E così, figlia mia, ci hai salvato la vita, sii dunque la moglie legittima di mio figlio». Con un bel banchetto venne celebrato il matrimonio. La giovane ripete sempre la stessa cosa al padre, di vendere la vecchia casa e comprarne una nuova: aveva una gran paura dei briganti! Non si sa mai, potevano tornare alla carica. Così avvenne. Dopo qualche tempo, quello stesso brigante che era venuto con le botti, si travestì da ufficiale, andò dal contadino e chiede un alloggio per la notte; fu accolto. Nessuno lo riconobbe, fuorché la giovane, che dice: «Padre! È il brigante dell’altra bolta!». «No figlia mia, non è lui!» Lei tacque; ma quando andò a letto a dormire si mise accanto un’ascia affilata; tutta la notte non chiuse occhio e restò all’erta. Durante la notte l’ufficiale si alzò, prese la sua sciabola e vuole tagliare la testa al marito: lei non si perse d’animo, afferrò l’ascia e gli tagliò il braccio destro, colpì un’altra volta e gli portò via le testa. Allora ol padre si convinse di avere una figlia molto saggia; le diede ascolto, vendette la casa e si comprò una lo anda. Fatto il trasloco, cominciò a vivere bene, ad arricchirsi, a prosperare.
Passano da lui i vicini, quegli stessi che gli avevano dato il denaro e poi lo avevano citato in giudizio. «Perbacco! Tu qui?» «Questa è casa mia, l’ho comprata da poco». «Bella casa! Evidentemente i soldi non timancano. Perché non paghi il tuo debito?» Il padrone fa un inchino e dice: «Grazie a Dio! Dio mi ha aiutato, ho trovato un tesoro e sono pronto a ridarvi anche il triplo». «Bene, fratello! E adesso festeggiamo la tua nuova casa». «Con piacere!» Si diedero alla pazza gioia, festeggiarono; e intorno alla casa c’è un giardino così bello! «Possiamo vedere il giardino?» «Ma certo, brava gente! Vi accompagnerò io stesso». Camminarono, camminarono per il giardino e trovarono in un angolo remoto un secchiello con della cenere. Il padrone, quando lo vide, esclamò: «Brava gente! Ecco quel secchiello che mia moglie aveva venduto». «Allora guardiamo se tra la cenere ci sono i soldi!» Frugarono, e infatti c’erano. Allora i vicini si convinsero che il contadino aveva detto la verità. «Diamo un’occhiata» dicono «agli alberi; forse il corvo ci ha portato il cappello per farci il nido». Camminarono, camminarono, videro un nido, lo abbatterono con dei bastoni: era proprio il cappello! Tirarono fuori il nido e trovarono i soldi. Il padrone pagò loro il suo debito e visse ricco e contento.

 

♦ “Masha e l’Orso e altre fiabe popolari russe”,
Raccolte da A. N. Afanas’ev

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Habemus Jack O’Lantern!

halloween-хэллоуин

Image Credit © VeRA Marte

 

Un picco di influenza inaspettato ha ritardato la pubblicazione di questo post, ma non ha interrotto la tradizione!

Nata nel 2013, per il primo Halloween più o meno consapevole dell’AnarcoNipotina, anno dopo anno la zucca intagliata si sta trasformando in un’irrinunciabile e piacevole abitudine.

Pur rispettando tutte le opinioni in merito, non posso negare che mi fanno sorridere quelle persone che borbottano contro questa festa, contro la sua non appartenenza alla nostra tradizione e alla nostra cultura.

La verità è che questa festa, come tante altre, è molto più europea di quanto si pensi e addirittura di secoli antecedente all’avvento del Cristianesimo nel Vecchio Continente.
Halloween è infatti l’odierna forma contratta dell’antica espressione celtica All Hallows’ Eve, ovvero “Vigilia di Ognissanti”.

Questa celebrazione sembra affondare le sue origini nell’Irlanda di oltre 2000 anni fa, abitata da popolazioni celtiche, e ancora oggi sopravvive nelle correnti neopagane col nome di Samhain, o Capodanno Celtico.
Ciò a cui si rende omaggio non è nulla più di un evento naturale: la fine dell’estate, intesa come fine dell’anno agricolo.

Mi rendo conto che nell’epoca dell’agricoltura intensiva e dell’allevamento in batteria, la nostra epoca, possa sembrare anacronistico parlare di feste stagionali, ma è proprio di questo che si tratta.
Per gli antichi la notte fra il 31 ottobre e il 1° novembre era una sorta di “zona franca”, che non apparteneva né all’anno vecchio né a quello nuovo, in cui il velo fra il mondo dei vivi e quello degli spiriti era tanto sottile da permettere che questi entrassero in contatto.
Le usanze prevedevano un gioioso banchetto per festeggiare la fine dell’estate e tutto ciò che questa aveva portato attraverso l’agricoltura e l’allevamento, oltre alla conclusione dei lavori di immagazzinamento delle scorte per la stagione invernale. Il pasto era a base di ingredienti di stagione, come zucca, frutta secca, mele e cereali, oltre a generose portate di carne.
Tutto durante questa nottata celebrava l’imminente riposo della natura, da cui avrebbe avuto inizio un nuovo ciclo vitale.

A oggi, le testimonianze disponibili fanno risalire le prime tracce dell’esistenza di questa festa al VI secolo a.C., nei territori corrispondenti all’odierna Irlanda, quindi mi chiedo: perché mai non dovremmo considerarla “nostra” e festeggiarla?
Non parlo certo di chi ne approfitta, facendone solo un’occasione in più per stordirsi, di musica, di alcol o di qualunque altra cosa; quello a cui mi riferisco io sono cose come, per l’appunto, l’intaglio della zucca, i biscotti per i più piccoli o una serata diversa da trascorrere con le persone a cui teniamo; insomma, nulla di troppo diverso dal Capodanno “classico”.

Per queste ragioni, spero abbiate trascorso una bella nottata di Halloween e che la zucca che io e l’AnarcoSocio abbiamo intagliato quest’anno per gli AnarcoNipotini vi piaccia!

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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