Archivi del mese: settembre 2012

A Luci Spente.

STRANGE WORLD – KÉ

 

 

È quando spegni le luci che tutto diventa fin troppo chiaro.

Quello è il momento in cui i pensieri, prepotenti, alzano la voce. Non puoi fare niente per farli tacere. Puoi solo implorare divinità in cui non credi perché la luce torni presto, per quanto tu non la sopporti.

Non c’è nulla che tu possa fare.

Non c’è scampo da se stessi.

 

PS. Per chi volesse, potete trovare il testo di questa canzone qui.

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Venalità.

Non sono una persona venale, non lo sono mai stata. Sono una di quelle persone convinte che continuare a infognare soldi in fantasiosi nascondigli segreti, perché il venale non si fida delle banche, non serva a nulla, se non a correre il rischio di crepare senza esserseli goduti.

Al momento, però, sto seriamente valutando un netto cambio di rotta. Sì, ho bisogno di soldi.
Mi servono per andarmene da qui.
Mi servono perché i miei sogni non sono poi così pretenziosi, quindi con un po’ di buona volontà potrei risparmiare abbastanza da realizzarne almeno qualcuno.
Mi servono perché in questo periodo spenderli in serate alcoliche mi sa di inconcludente.
Mi servono perché… mi servono!
In fondo mica devo fare un proclama pubblico dei miei (non) piani finanziari, no?!

Ho bisogno di una pausa.
Ho bisogno di partire per una vacanza nel mio mondo: biglietto di sola andata, per il ritorno si vedrà…

Non lo so se ho davvero così bisogno di soldi o se è solo una scusa, perché ancora non riesco ad ammettere nemmeno con me stessa che ho bisogno di guardarmi allo specchio e imparare a riconoscermi per quella che sono diventata.

Sono sicura di chi sarà ancora qui al mio ritorno.
Per quanto riguarda chi sceglierà di non esserci, beh, mi dispiacerà, ma in fondo sarà giusto così.

Le persone che vorrei ringraziare in questo momento sono davvero tante. Alcune mi hanno fatto bene, altre molto male.
Il mio ringraziamento più grande, però, è un ringraziamento silenzioso a una persona che non lo leggerà mai e di cui non voglio fare il nome.

Grazie per avermi donato, senza nemmeno rendertene conto, una nuova prospettiva, nuovi occhi con cui guardare a me stessa e alla mia vita.
Grazie per avermi indicato la via del ritorno.
Grazie per avermi ricordato che in fondo la felicità si trova nelle piccole cose.
Grazie per avermi scosso sul bisogno di restituire alle mie reali priorità l’importanza che meritano.
Grazie per avermi sbattuto in faccia che, nonostante si possa essere circondati da tutto l’affetto del mondo, si può, e si deve, contare soprattutto su se stessi, perché nessuno si prenderà mai la briga di combattere le mie battaglie al posto mio, e forse nemmeno di starmi a fianco mentre sgomito per uscirne viva, anche se ammaccata.

Dopo l’invettiva incazzosa di ieri, ci stava una parentesi un po’ sentimentale, ma non abituatevici.

E ora, contro ogni aspettativa, perfino le più audaci e fantasiose, è il momento di mettere un po’ d’ordine, e chi mi conosce sa che, se davvero dovessi riuscirci, ci sarebbero tutte le ragioni per gridare al miracolo.
Perché forse questo vuoto dentro non è bisogno di venalità, ma solo il pacato sentire la mancanza di me stessa…

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L’Uomo è un animale (sociale?).

“L’uomo è un animale sociale.”

BOOOOOOOOOP!!! RISPOSTA ERRATA, cari i miei Aristotele e Seneca.

La donna è un animale sociale. L’uomo è un animale. Punto.

Ok, lo ammetto, la mia spiccata misantropia in questo periodo è un tantino focalizzata sul genere maschile.
Il punto è che sono stanca di sentire uomini lamentarsi della non serietà delle donne quando il mantra collettivo del sesso “forte” sembra essere diventato: “Scusa, ma non mi sento pronto a una storia seria, non mi va proprio di legarmi.”.

Beh, cari maschietti, sapete una cosa? AVETE ROTTO IL CAZZO!!!

Se queste sono le VOSTRE premesse, mi sembra ragionevole che noi donne ci comportiamo di conseguenza. Dunque perché mai noi dovremmo essere “serie” se tanto quello che ci aspetta è uno scontato due di picche al momento di tirar fuori i coglioni e iniziare a comportarsi da “grandi”?!

Nessuno vi sta chiedendo di trasformarvi all’istante in tanti perfetti principi azzurri. Ci siamo evolute anche noi, lo sappiamo che i miracoli non esistono. Quello che vi si chiede è un briciolo di fottuta coerenza.
Se non mi piaci, io con te non ci esco, non ci ceno, non ci bevo, men che meno ci faccio quello che vorresti tu…
Invece tu, Homo Sapiens (e questa vorrei proprio che qualcuno me la spiegasse, “Sapiens” de che???), mi incontri, mi inviti fuori, mi offri la cena, poi un drink, una passeggiata sul lungomare, io non te la do lo stesso, perché sì, sono stronza, eppure tu torni alla carica…
Il secondo giro non è diverso dal primo. Al terzo ti ritrovi in una bettola fra i miei amici schizzati e sciattoni, ma non molli. Arrivano perfino i complimenti. Sparate che insinuerebbero sospetti perfino nella fiduciosa nonna di Cappuccetto Rosso, del tipo che prima o poi la bellezza abbandona tutti e che è l’interiorità di una persona a contare. Intuile dire che a questo segue un elenco di tutte le cose che è bellissimo fare con me: parlare, ridere, scherzare, discutere, confrontarsi… E a questo punto penso: dai, su, dillo, eri una donna! Se non prima dell’intervento, quanto meno nella vita precedente. Invece no, a quanto pare uomo fino al midollo.

Eppure il momento fatidico arriva. E arriva sempre.
“Ma io sono single per scelta. Sono troppo volubile per riuscire a gestire un rapporto serio e stabile. Non me la sento di legarmi.”

BOOOOOOOOOP!!! RISPOSTA ERRATA. Sì, di nuovo. D’altronde Aristotele e Seneca erano maschi.

Tu non sei uno spirito libero, selavggio, volubile, incapace di intrattenere una relazione seria.
Sei semplicemente un grande STRONZO!

Mi dilungo ancora, perché mi rendo conto di aver dimenticato una postilla fondamentale.
Non sono una bigotta che non concepisce l’idea che possano esistere relazioni “leggere” e senza impegno, quello che mi manda in bestia è la mancanza di onestà nelle persone (perché sì, dai, concediamoglielo, anche i maschi sono persone). Se sai a priori che non hai intenzione nemmeno di dare una possibilità a una persona di diventare significativa nella tua vita, dillo subito, così siamo tutti consapevoli e felici. Non perdere del tempo, ma soprattutto non farne perdere a me, sbrodolando cazzate su quanto io sia diversa dalle altre e robaccia simile, che tanto, se il gioco con te non vale la candela, prima o poi viene a galla.

[N.d.A.] Mr. Costume è qui taggato solo in quanto appartenente alla categoria maschile, non perché il post sia riferito a lui nello specifico.

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Iridi Buie.

Passo il tempo a guardare la vita scorrere fuori dal finestrino di un treno.
Qualcuno potrebbe trovarla una cosa poetica, per me invece è una specie di quotidiana lotta per la sopravvivenza.
Il pensiero si perde, e non è mai una buona cosa, perché il pensiero è alato e riesce a oltrepassare mura e barriere. Quelle che nella realtà ci ostacolano, ma anche quelle che ci proteggono.
So che la pagina bianca è la mia unica via di fuga, ma d’improvviso nella mia mente si fa lontana, come fosse un miraggio. La penna sembra pesare tonnellate e le parole diventano geroglifici incomprensibili.

La testa si spegne e dal buio emergono le immagini.

 

Iridi buie perforano la luce.

Gioco al piccolo chimico coi neurotrasmettitori. Faccio implodere emozioni per evitare raptus atomici. Diluisco dolore con quotidianità neutre. Moltiplico sogni con colture di illusioni.

Iridi buie perforano la luce.

L’inchiostro mi manca, ma non c’è inchiostro senza sangue. Nelle vene scorrono densità errate. Concentrazioni approssimative di reagenti instabili. Fluidi che strisciano lenti sulle pareti della sopravvivenza. Gas che invadono i bunker della salvezza.

Iridi buie perforano la luce.

Braccata da ricordi feroci. Inseguita da voci affamate. Sbiadita da immagini vivide. Insonorizzata da paure urlanti.

Iridi buie perforano la luce.

Perché continuare a fuggire?
Perché nascondersi?
Perché continuare a pensarsi immuni al contagio?

Iridi buie perforano la luce.

L’amore è un’arma biologica. Distruzione di massa delle emozioni. Sterminio di sinapsi. Genocidio di speranze.

Iridi buie perforano la luce.

– © Vera Marte –

 

Risorgo dal vuoto e la pagina è gravida di lettere, ma io non ricordo nulla.
Mi (ri)scopro ogni giorno in frasi nate dall’assenza, mentre l’estraneità a me stessa mi divora.

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Back to “Scrivere E’ Vivere”

Le parole continuano a ribollire nello stomaco senza prendere forma, ERGO continuo a essere incazzata come una bestia.

 

Credeva alla letterarura come fine a se stessa, e scrisse soltanto per propria soddisfazione personale, rifiutando sempre di venire a compromessi con la propria arte.

– Gianni Pilo a proposito di Howard Phillips Lovecraft –

 

Forse è quello che dovrei imparare a fare anch’io, soprattutto perché è così che ero.
Non ricordo bene il momento in cui sono scesa a compromessi, forse è stata una cosa graduale, forse ho dato più ascolto di quanto meritasse a una persona che, magari con ottime intenzioni, voleva che io arrivassi ad eccellere in ogni genere, finendo invece per snaturare quello che era il mio stile personale.

Ora capita spesso che la me stessa critica intervenga addirittura prima che io scriva un pezzo, quando è ancora in fase embrionale nella mia testa. Prima invece, l’istinto era così predominante da ritrovarmi a realizzare di aver scritto solo dopo aver finito.

Mi manca tutto questo.
Mi manca la mia vecchia filosofia del “Respirare è vivere. Scrivere è respirare. Dunque scrivere è vivere.

Però è difficile. Questi ultimi tre anni mi hanno insegnato a guardare sempre avanti, senza mai voltarmi verso ciò che mi lascio alle spalle, e quella me stessa, o almeno alcuni aspetti di quella me stessa, devono restare dove li ho lasciati.
Il mio obiettivo ora è spiegare alle parti di quella che ero che mi mancano come raggiungere quella che sono, perché io non posso proprio permettermi di tornare indietro, il massimo che posso fare è fermarmi per un po’ e aspettarle, sempre che non ci mettano troppo tempo.

Tornerò monotona e ripetitiva? Assolutamente sì!
Ma in fondo non credo di essere l’unica blogger al mondo con un chiodo fisso che tiranneggia nella sua mente.

Non sopprimerò certo i pezzi sulla mia disastrosa vita da pendolare, né gli aggiornamenti sulle rocambolesche imprese di Mr Costume, ma lettura e scrittura torneranno ad avere, anche sul blog, il ruolo che da sempre ricoprono nella mia vita quotidiana.

Preparatevi! Una marea di stronzate letterario-linguistico-traduttologico-ortografico-glottologiche sta per travolgervi come uno tsunami!

PS. Se mai mi passasse per la testa di ricominciare anche a recensire libri, avverto tutti in anticipo che le mie critiche sono del tutto prive di oggettività, quindi vi rifilerò solo opinioni personali.

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A Declaration of War

INSURRECTION – TRIVIUM

 

 

Ascend to the heavens
To destroy them all

 

Oggi non riesco a trovare le parole, per questo ho preferito che la musica parlasse al posto mio.

È fottutamente frustrante sentire le parole ribollire nello stomaco e non riuscire a dargli una forma.
Di cose da dire ce ne sarebbero, e anche tante, ma è la lucidità a mancare, e quando le parole non sono riflessi impeccabili delle immagini nella mia testa mi incazzo come una bestia.

Ho solo voglia di spaccare il culo al mondo!

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Perché la matematica È un’opinione…

Oggi ho un solo obiettivo per la giornata: non pensare all’incontro imminente con Mr Costume!

Per fortuna la provvidenza fa il suo lavoro e… provvede!
Come? Fornendomi di che scrivere oggi su un piatto d’argento!

Ieri ero in treno, me ne tornavo beata verso casa, con lo stomaco pieno di penne all’arrabbiata e il cervello concentrato sull’Aleph di Jorge Luis Borges. Tornando presto, credo fossero all’incirca le 14:30, riesco a leggere anche senza il sostegno della musica che in genere uso per isolarmi dal caos degli altri passeggeri.
A un certo punto, il passaggio del controllore mi distrae dal mio universo parallelo e, mentre rimetto a posto l’abbonamento, si offre alle mie orecchie lo sfoggio di ignoranza più epico a cui abbia mai assistito.

Le protagoniste dell’opera magna sono tre ragazze, chiamiamole A, B e C, dato che tanto sono delle estranee incrociate per caso su un treno qualunque. Età media non superiore ai 20 anni, almeno così è sembrato a me. Capelli da vamp, trucco impeccabile, manicure dai colori fluorescenti corredata di glitter, montagne di bijoux vari, vestiti all’ultimo grido e accessori corredati.
Fin qui, nulla di male, peccato per l’infausta idea di aprire bocca…

 
 

A Stavo pensando… Magari voi potete aiutarmi con un calcolo che non riesco a fare… Se ci frequentiamo dal primo gennaio 2010, perché era il 2010, vero?

B e C (Presumo abbiano annuito, dandole conferma del suo ricordo, ma a me era dato di vedere solo A)

A Ecco allora, se era il primo genna 2010, quest’anno, a Capodanno, quanti anni sono che stiamo insieme? Tre o quattro?

IO ( o__O )

B Scusa sono 3… Da 2010 a 2013 sono 3 anni…

C Ma no, è che lei fa un conto diverso… Ti spiego. Lei dice: “Se era il primo gennaio 2010, siamo stati insieme tutto il 2010, tutto il 2011, tutto il 2012 e quindi il 2013 è il quarto anno”. Quindi sono 4…”

A Eh, vedi che dipende da come li conti…

IO (Chiudo il libro, mi infilo gli auricolari, alzo il volume al limite della tollerabilità, seleziono Trivium e premo “play”)

 
 

Ah, ma prima o poi la figaggine vi molla figliole mie, e allora verrà la resa dei conti e io, da bruttina pensante, godrò come una matta!!!

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Incomprensibilia.

Sarà che mi chiamo “Marte”, ma la vecchia favola che le donne vengono da Venere e gli uomini da Marte, non mi ha mai soddisfatta granché…

La mia modesta, e personalissima, opinione è che gli uomini siano l’umido (leggi: rifiuti organici) degli alieni che abitano e governano il Pianeta Incomprensibilia. Si sono accorti che la biodegradabilità della spazzatura uomo richiedeva tempi troppo lunghi e li hanno scaricati sulla Madre Terra (che in quanto madre è donna) come fosse un’immensa discarica.
Mi pare superfluo dire che alle abitanti originarie del Pianeta Neo-Discarica, le donne, nessuno abbia mai chiesto cosa ne pensassero in merito.

Dato il pianeta d’origine, non credo servano ulteriori spiegazioni sul fatto che gli uomini siano, per l’appunto, incomprensibili, ma ritengo invece importante ricordare che il ruolo che ricoprivano anche a casa loro era quello di immondizia.

Cosa fanno invece gli uomini qui sulla Terra? Semplice: nell’attesa della salvifica decomposizione, complicano la vita alle donne.

Lo so, sono tutte banalità trite e ritrite, ma dovevo pur fare una premessa, per quanto scontata, all’episodio che ha destabilizzato la beata quiete in cui gravitavo ieri sera.

Mentre chiacchieravo amabilmente con un’amica al cordless e lasciavo che la tv provvedesse a fare da sfondo, creando una sana atmosfera di relax assoluto, è partito anche uno scambio di sms in cui, a un certo punto, è sbucata questa frase:

Ma ieri sera ho toccato un tuo tasto dolente?

Shock indescrivibile, con conseguente fobia di essere in preda a un episodio psicotico acuto.
Non può aver davvero scritto una cosa simile! Deve per forza essere frutto della mia fervida immaginazione! Di sicuro me lo sono sognato!

Dove sta il problema? Nel fatto che una singola frase rischia di mandare a monte tutta la mia teoria della spazzatura incomprensibiliana.

Questo piccolo ammasso di parole denota acume, intuito e, addirittura, sensibilità.
Volessi essere stronza, ridurrei il fattaccio a una botta di culo occasionale, ma per questa volta ho optato per la concessione del beneficio del dubbio. Forse perché non è la prima volta che quest’individuo insinua nella mia mente l’atroce sospetto di essere munito di cervello, sul fatto che poi sia funzionante è una questione ancora tutta da discutere.

Le perverse e infinite sorprese di Mr Costume continuano…

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Ode a Me Stessa.

Sembrerò arrogante, ma non importa.
Sembrerò saccente, ma non importa.
Sembrerò presuntuosa, ma non importa.
Sembrerò piena di me, ma non importa.
Sembrerò mitomane, ma non importa.

Oggi la mia strada ha incrociato nuovi cammini e ne ha ritrovati altri che sembravano essersi discostati per sempre.

Come diapositive dimenticate in una vecchia soffitta polverosa, dentro una scatola consumata, mi hanno ricordato chi ero. Chi sono.

Per oggi, allora, niente stronzate figlie della perversa meccanica di google, quella secondo cui la quantità conta più della qualità.

Oggi elevo un’ode a me stessa.
A quella me stessa che dà fastidio perché finisce col rendere taglienti anche le parole più innocue.
A quella me stessa macabra che molti hanno deciso di smettere di leggere, perché le mie immagini violentavano le loro menti candide.
A quella me stessa squilibrata che ha disturbato parecchi animi, costringendoli davanti a uno specchio senza via di fuga dal guardarsi davvero.

Non importa se la veste è più sobria, lo spirito è lo stesso.
Alcuni mi vedranno per la prima volta, altri forse mi riconosceranno, e qualcuno sceglierà di girarmi al largo, come si fa con gli ostacoli più indidiosi, ma è per chi resta che apro le gabbie. Le belve sono per chi è in grado di affrontarle, per chi, come me, è schiavo impotente della lotta per la sopravvivenza a se stesso.

A DigitalAngel, Il Nemico Utile, Hate To Choose One, Endorphin e arsenicaxxx.
Lasciare che i mostri che mi hanno portata alla pubblicazione dicano la loro ancora una volta, è un monito a me stessa, per non dimenticare che rinscere non significa rinnegare ciò che si è stati.
Ridare voce ai demoni è il mio modo di dirvi GRAZIE.

Le lacrime sono replicanti che si riposano fra le ciglia per poi fuggire. Le vere perle del dolore non nascono dagli occhi. Non sono trasparenti. Non permettono alla luce di attraversarle. Piccole sfere scarlatte. Invulnerabili. Rotolano scomposte su pavimenti di ceramica bianca. Si schiantano contro pareti di vetro. Imbrattano emozioni fragili. Innescano reazioni al plastico. Vetriolo che consuma. Tritolo che cancella. Solvente che sfuoca sensazioni. Neuroni novocainizzati che distorcono percezioni. Vuoto che deforma identità prima di inghiottirle. Visioni sporgenti, ma troppo distanti per aggrapparcisi. Suoni ingannevoli di promesse fasulle. Freddi bagliori metallici contrabbandieri di anime.
Gli occhi ancora chiusi.
È passato soltanto un respiro.

© Vera Marte

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Cambio look!

Io e la grafica siamo due universi molto lontani, incompatibili oserei dire e, purtroppo, l’ha sempre avuta vinta lei.
Quando ho aperto questo blog ho provato a personalizzarne l’aspetto, ma il fallimento è stato epico, così mi sono limitata a scegliere un tema che mi piacesse e a sbattermi per capire il minimo indispensabile, nell’attesa di un’illuminazione divina.

Qualche giorno fa, curiosando nel magico mondo di WordPress, ho scovato un blog dalla grafica semplice e piuttosto essenziale, che però mi ha lasciata senza fiato.
Lungi da me farmi i fattacci miei!
Ho cercato subito il nome del tema e mi sono arrabattata per avere conferma del fatto che fosse in qualche modo personalizzabile, perché nella mia testa una vocina mi diceva che di temi così belli non ne avevo mai visti nella “vetrina” di WP.
Avevo ragione. Il tema “base” è pressoché osceno, ma questo dettaglio è passato in secondo, terzo, millesimo piano di fronte all’opportunità di poter finalmente dare al mio angolino virtuale l’aspetto che voglio io.

Perfetto!
O almeno questo avrebbero pensato tutte le persone “normali”, ma non io.
Io mi sono resa conto che, in questi due mesi, mi sono affezionata alla brutta faccia del mio blog, e ora mi vengono i sensi di colpa nei suoi confronti e nei confronti di tutte le soddisfazioni che ha già saputo darmi.

E se la nuova grafica non piacesse?
Se facesse passare alle persone la voglia di leggere?
Se non incuriosisse i nuovi potenziali lettori?

E poi quale me stessa scegliere? Ora che ho il lusso della scelta a portata di mano, l’indecisione regna sovrana.

Dopo infinite prove, e un ritardo spaventoso sugli impegni di oggi, mi sono decisa.
Non è ancora quel che avevo in mente, ma ci si avvicina davvero tanto, quindi mi sento serena nel lasciarvi con le mie matrjoske multicolor!

Buona domenica a tutti!

Categorie: Arte Varia, Russia, Scrittura | Tag: , , , | 15 commenti

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