Scrittura

6,25 mg

piuma_6,25

Image Credit © VeRA Marte

 

Torno a scrivere dopo oltre 8 mesi, con la cauta e prudente insicurezza di chi, dopo una brutta caduta, rimonta in sella per la prima volta.

Torno a scrivere da una casa nuova, una provincia nuova, una regione nuova.

Torno a scrivere in un giorno di festa di metà agosto, che per me è solo un giorno di pausa, mentre il 90% dei miei connazionali è in vacanza.

Torno a scrivere qui, senza in realtà aver mai smesso di farlo altrove, ma alla vecchia maniera, con carta e penna.

Torno a scrivere partendo da un numero: 6,25 mg.
Il dosaggio di prednisone più basso raggiunto dal novembre 2016 a oggi,seppure a giorni alterni con un dosaggio più alto. Primo vero passo verso la sospensione definitiva prevista per dicembre, analisi di monitoraggio permettendo.

Torno a scrivere con la consapevolezza che la malattia rara è sì condanna, ma anche enorme risorsa.

Torno a scrivere forte di piccole vittorie, ma, soprattutto, di grandi sconfitte, perché sono proprio queste ultime a insegnarci a vivere davvero.

Torno a scrivere piena di domande e senza alcuna idea di dove cominciare a cercare le risposte.

Torno a scrivere con la prospettiva di un’imminente vacanza all’insegna di una passione ormai antica e di sicuro radicata, che promette di regalare emozioni destinate a trasformarsi in ricordi indelebili.

Torno a scrivere da un luogo indefinito, a metà fra la testa e il cuore, fra i groppi alla gola e le farfalle allo stomaco, un luogo dove le parole guariscono più dei farmaci, dove è il contenuto a contare, non l’involucro.

Torno a scrivere perché è l’unico modo che conosco per tornare a galla e riprendere fiato, mentre tutto intorno a me sembra volermi inghiottire, enormi fauci scure pronte a divorarmi e inghiottirmi, spingendomi sempre più a fondo in un buco nero senza fine né via d’uscita.

Una parola dopo l’altra, in punta di piedi, torno a scrivere.

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Solo un altro lunedì…

DAY IN HELL – EXILIA

 

Dear president and plastic wife
I fell wrong and nothin’s right
I never was a princess
I never had a lucky star

No fucking fairy tale life
No more angels, no more chances

Gotta fight for my dream
Gotta think about me

Ready or not – ready or not – ready or not

It’s just another day, it’s just another day
Another day in hell
It’s just another day, another motherfacking day
it’s just another day
Another day in hell

Dear president and plastic wife
I see black and you see white
I never had no better time
No better place, no better life

Don’t forget where I come from
No destination for my world

It’s your perfect boomtown
My generation is burning down

Ready or not – ready or not – ready or not

It’s just another day, it’s just another day
Another day in hell
It’s just another day, another motherfacking day
it’s just another day
Another day in hell

I see, I see the pistols now
Hanging low on leather belts
I see cops forming a police line
I hear shots making world headline
There’s a war on what I believe in,
There a source for the pain in my head,
Everyday of my life
They push me right to the edge and they scream

Jump,it’s just another day
Jump,it’s just another day
Jump,it’s just another day

It’s just another day, it’s just another day
Another day in hell
It’s just another day, another motherfacking day
it’s just another day
Another day in hell

 
 

Si sa, in genere il lunedì è ILday in hell” per eccellenza, ma in quest’ultimo periodo questa ‘suggestiva’ immagine si sta facendo costante. È una di quelle fasi in cui tutto ciò che può andare storto non manca di farlo, alla faccia della mia buona volontà per imparare a cercare sempre il lato positivo delle cose.

Non sono arrabbiata, né demoralizzata, sono solo un po’ stanca di ritrovarmi ad affrontare ogni giorno come fosse una battaglia.

La voglia di fare non manca, l’impegno nemmeno, vorrei solo riuscire a gestire tutto in maniera un po’ più serena, che si tratti di entusiasmanti novità o di assillanti preoccupazioni, ma proprio non mi riesce. La mia tendenza a ingigantire le cose, al momento, mi sta un po’ fregando, bloccandomi proprio in una fase cruciale, in cui i passi già fatti richiederebbero un minimo di equilibrio per consolidarsi, equilibrio che io fatico a trovare.

Cambiare non è mai facile, soprattutto quando il cambiamento non si sostituisce alla quotidianità corrente, ma vi si sovrappone, sotto forma di prospettiva per un futuro diverso. Tenere in piedi entrambe le cose richiede un livello di stabilità che, per ora, sembra essere fuori dalla mia portata e, anche se la determinazione è tanta, fatica e stanchezza la seguono a ruota.

Tornare a scrivere dopo tanto silenzio è uno dei compiti che mi sono auto-assegnata, perché in questi giorni mi è tornato in mente quante volte io abbia sostenuto, nei vari blog, che per me “scrivere è respirare”, e allora, forse, in questa situazione di apnea riprendere a scrivere potrebbe essere un modo, IL modo, per riprendere anche a respirare.

Il tempo è poco, il lavoro e lo studio lo assorbono quasi tutto, ma questa non può essere una scusante per sfruttare male quel che resta, quindi rieccomi qui, a tentare di mettere nero su bianco pensieri ed emozioni.
Durante le vacanze ho ripreso a leggere: almeno mezz’ora al giorno, questo è il nuovo accordo con me stessa. Allo stesso modo credo sia arrivato il momento di negoziare anche sullo scrivere: chissà se io e me riusciremo a trovare un compromesso accettabile…

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Giornata Mondiale della Traduzione 2017

giornata-mondiale-traduzione

 

Senza la traduzione
abiteremmo province
confinanti con il silenzio.

George Steiner

 

Sulla metafora del silenzio si basa anche il pensiero di Peter Bush, secondo cui “La letteratura non è un’arte universale come la pittura, o meglio lo è solo grazie alla traduzione. La letteratura è piuttosto come la musica, ha bisogno di un interprete per dar voce a note che altrimenti resterebbero mute”, mentre José Saramago, coerente ma forse un po’ più concreto, sostiene che “Gli scrittori creano la letteratura nazionale, mentre i traduttori rendono universale la letteratura”.

Domani si celebrerà la 26ª Giornata Mondiale della Traduzione, fissata il 30 settembre in onore di San Gerolamo, patrono ufficiale dei traduttori grazie alla sua colossale impresa di traduzione dell’intera Bibbia dall’ebraico al latino.

Ancora oggi in Italia la figura del traduttore riceve scarso riconoscimento, professionale ed economico, ma questo non smorza la dedizione che l’esercito dei traduttori riversa nello svolgimento del proprio lavoro.
Seppur a fronte del quasi anonimato e di una remunerazione di cui spesso non si riesce a vivere, i traduttori sono, e rimangono, ben consapevoli di quanto fondamentale sia il loro ruolo nella società iper-globalizzata dei giorni nostri.

Pensate alla piacevole sensazione che provate quando guardate un bel film o leggete un buon libro. Ora pensate che, in un buon 80% dei casi, ma forse anche di più, quella sensazione vi sarebbe negata se non esistessero i traduttori, dato che gran parte della letteratura, odierna e non, e ancor più della produzione cinematografica, non nasce certo in italiano.

Ecco allora che la giornata di domani dovrebbe essere un monito per tutti coloro che non si rendono conto di quanto fragile sia l’equilibrio della comunicazione interlinguistica e interculturale, ma ancor più vorrebbe essere un invito a provare a scoprire il mondo sommerso, e spesso bistrattato, della traduzione perché, proprio come molti altri ambiti lavorativi, è un universo fatto di persone che si danno da fare, ma, soprattutto, di persone che, a dispetto del risicato riscontro personale che ne ricevono, amano in modo viscerale e sincero quello che fanno.

 

Buona Giornata della Traduzione
a tutte e tutti!!!

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Crederci è tutta un’altra cosa

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I programmi per il fine settimana scorso prevedevano solo qualche commissione e un piccolo evento letterario locale, invece il tutto si è trasformato in una full immersion fra persone che, seppur dopo mille peripezie, “ce l’hanno fatta”, come si usa dire.

Forse, dopo tanto tempo, ho ripreso a sentire di nuovo mia la convinzione che, per riuscire in qualcosa, bisogna innanzi tutto crederci davvero.
Negli ultimi mesi di sicuro non ho mai smesso di sperarci, questo no, ma crederci… crederci è tutta un’altra cosa.

Allora… Ci sono un barman, una commerciante e uno scrittore… Potrebbe sembrare l’inizio di una di quelle storielle divertenti che in genere giocano sulle differenze fra le varie nazionalità, invece è tutto vero. Tre persone molto diverse fra loro, ma accomunate dal non essersi arrese, dall’incrollabile volontà di tagliare il traguardo che si erano prefisse e dall’avere, infine, raggiunto ognuna il proprio obiettivo.

Quello che conta, quindi, è tenere duro, non mollare mai.
Chi se ne frega se le mani tremano, le articolazioni urlano, gli occhi si annebbiano, il naso e le gengive sanguinano: io continuo a scrivere.
Ho capito che, almeno per il momento, non conta il “cosa”: di quello mi preoccuperò quando tenere in mano la penna, o pigiare sui tasti del computer, sarà tornata a essere una delle conditio sine qua non per il “normale” svolgimento delle mie giornate.
Si tratta di “oliare” tutta una serie di vecchi ingranaggi per poterli rimettere in moto e poi lasciare che gli eventi facciano il loro corso.

Se c’è qualcosa che l’AnarcoPatia mi ha insegnato, quel qualcosa sono pazienza e forza di volontà nell’essere costante, perfino nelle dinamiche spiacevoli e obbligate legate alla malattia, quindi ora il punto sta nel trovare le energie per mettere in pratica questi insegnamenti anche in relazione alle cose fatte per scelta, quelle che mi permettono di tirare il fiato, che mi fanno sorridere e mi riempiono di entusiasmo, gioia e serenità.

La mia sensazione è che questa ricerca sarà lunga e, spesso, difficoltosa, ma pur iniziando a metabolizzare il concetto del “vivere qui e ora”, che domani chissà se avremo ancora le stesse opportunità, sono convinta di avere ancora un sacco di cose da fare, quindi, per l’ennesima volta, al bando l’ipotesi della resa, e forse, questa volta, sto iniziando a crederci davvero.

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Caffellatte a mezzanotte.

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Maggio è cominciato con un caffellatte caldo poco dopo la mezzanotte, tanta pioggia, l’inizio delle “vacanze di primavera” in Russia, l’antica festa pagana di Beltane, il raggiungimento della doppia cifra in chili persi (- 10,4 kg), una buona dose di belle speranze e, per non farsi mancare nulla, un sospetto di trombo alla gamba “buona”, che mi porterà a nuove mirabolanti avventure ospedaliere fuori programma.

Un fine settimana lungo, quello del 1° Maggio, trascorso in preda a dolori fra i più acuti provati dall’esordio dell’AnarcoPatia, eppure con tanta voglia di rinnovarmi e rimettermi in gioco, o quanto meno di (ri)provarci per l’ennesima volta, sperando che sia quella buona.

Guardo la mia inseparabile Moleskine e penso che sì, ci ho già scritto parecchio, ma non quanto avrei voluto.
Controllo le statistiche della pagina facebook e mi accorgo che non solo i “Mi piace” non aumentano, ma c’è chi addirittura si sbatte a togliermelo, ben 3 solo negli ultimi due giorni.
In parallelo a questo prendo atto del drastico rallentamento subìto da quello che, in questo preciso momento, dovrebbe essere il mio progetto principale.

Allora mi domando se, per quanto a malincuore, non sia il caso di mettere in satndby quelle fra le mie attività che sembrano essere in stallo, così da avere più tempo ed energie da dedicare invece a quelle che dimostrano di avere ancora del potenziale da esprimere.
Non posso negare che l’idea mi rattristi, in fondo, come dicevo, ci ho investito parte del mio tempo e delle mie energie, ma tante cose, forse troppe in un periodo così breve, sono cambiate e temo sia arrivato il momento di decidermi ad accettare questa evidenza, con tutte le conseguenze che comporta.

Il numero di strade percorribili si è ridotto in modo netto e piuttosto significativo, sia dal punto di vista personale che da quello lavorativo, e ormai è palese che continuare a temporeggiare in attesa di un migliorameto non abbia più molto senso: devo scegliere quale, fra quelle rimaste, sia quella da percorrere, per poi dedicarmici senza riserve.

Per qualche ragione che non mi spiego, questa situazione mi ha catapultata in uno stato d’animo malinconico e nostalgico, ha portato il mio sguardo interiore a volgersi al passato, un passatto abbastanza lontano a dire il vero, quando solitudine e insonnia erano uno stile di vita intrapreso per scelta, quando la dedizione a quella che consideravo la mia “arte” era assoluta e predominante.
Oggi a intralciare quella determinazione così inscalfibile, segno distintivo della me stessa di allora, c’è il costante torpore mentale da farmaci, ma forse la soluzione sta in un radicale cambio d’approccio alla questione da parte mia.
Forse il segreto sta nella tanto ovvia quanto impegnativa scelta di provare a scoprire e imparare a conoscere le nuove modalità con cui poter continuare a fare al meglio quel che mi piace e mi fa star bene.
Senza arrendermi. Mai.

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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8 Marzo: the day after.

8-marzo

 

Bene. L’8 Marzo è passato. E oggi?

Un solo giorno all’anno per celebrare le donne mi sembra davvero una gran presa in giro a fronte del trattamento che poi ci viene riservato negli altri 364, per questo tendo a non festeggiarlo.

Trovo alquanto paradossale che moltissime donne in tutto il mondo abbiamo passato questo 8 Marzo, loro presunta festa, in piazza, manifestando per rivendicare diritti che dovrebbero esser loro riconosciuti in quanto esseri umani, ancor prima che in quanto donne.

Se vuoi fare figli i costi sono proibitivi, se vuoi abortire devi sperare in quella risicata fetta di medici non obiettori, una volta che i figli ce li hai nessuno ti aiuta con un minimo di servizi.
Sul lavoro, sorvolando sulle innegabili influenze del fattore figli anche in questo ambito, a parità di competenze ed esperienza, siamo pagate dal 16% al 30% in meno dei colleghi uomini, in tutti i settori e qualunque sia la mansione. Per non parlare di quando un lavoro proprio non ce l’hai e, nel cercarlo, la domanda principale che ti senti sottoporre è, per l’appunto: «Ha figli? Ha intenzione di averne?» E se fosse? Mi dicano, lor signori, quale improvviso e irreparabile deficit apporterebbe la cosa alle mie capacità professionali?
Uomini incapaci di ammettere che una donna possa essere brava quanto loro, magari anche di più, uomini incapaci di accettare che una donna possa lasciarli, uomini incapaci di capire che una donna è, innanzi tutto, una persona, proprio come loro.

Credo non si contino gli approfondimenti possibili sulla questione della discriminazione di genere, ma per chi volesse dilettarcisi è sufficiente aprire qualunque quotidiano, ascoltare qualunque notiziario, alla radio o in TV, prendere in biblioteca uno dei molti saggi, frequentare gli incontri di una delle tante associazioni, insomma, ce n’è per tutti i gusti.

In questo triste scenario, per rimanere fedele a me stessa, io voglio proporvi due libri:

Storie della buonanotte per bambine ribelli. 100 vite di donne straordinarie.
di Francesca Cavallo e Elena Favilli; tradotto da L. Baldinucci
Edito da: Mondadori

Cattive ragazze. 15 storie di donne audaci e creative.
di Assia Petricelli e Sergio Riccardi
Edito da: Sinnos

Recentissimo il primo, un po’ meno il secondo, sono due libri che parlano di donne alle donne. Un totale di 111 storie di donne semplici ma meravigliosamente complesse, come solo le donne sanno essere, incredibili e comuni allo stesso tempo, raccolte perché le donne non dimentichino mai il loro valore e quanto lontano la loro passione e la loro determinazione possano portarle.

 
 

Donne, rompiamo il Silenzio!

 
 

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Tu sei una favola!


 

Un bicchierone di latte macchiato, un caffè americano fumante e una curiosa chiacchierata con l’AnarcoSocio sulle conseguenze della discriminazione di genere sul lavoro.

Si ragionava su quanto le donne, costrette da retaggi culturali inamovibili a fare molto più degli uomini per ottenere un trattamento lavorativo paritario, finiscano per diventare acide arpie senza cuore.
L’aspetto bizzarro è che, in genere, questo atteggiamento viene riservato alle altre donne, quasi mai ai colleghi uomini. L’ipotesi che ne è uscita più accreditata è stata quella di una sorta di “guerra fra poverE”, che cercano in qualche modo di emergere nel contesto delle loro ‘pari’, ben consapevoli che provare a fare altrettanto rispetto alla controparte maschile sarebbe una battaglia persa in partenza.

Parlando, mi è tornato in mente l’ultimo cartone animato visto, davvero bellissimo: “Ballerina”.
Una coppia di amici inseparabili, una femmina e un maschio, entrambi orfani, scappano a Parigi nella speranza di realizzare i propri sogni. Alla fine, fra i due, è lei quella che ce la fa, grazie a un’incrollabile determinazione.

Tralasciando la riflessione femminista da cui questo post è nato, vorrei concentrarmi sul messaggio che questo fantastico cartone animato trasmette.
A differenza delle eroine di molti suoi predecessori, forse perfino più gettonati, la protagonista è una ragazzina “normale”, solo un po’ fantasiosa e molto intraprendente. Niente fate, animaletti prodigiosi o magie varie, solo tanta buona volontà e un’incredibile voglia di farcela, condite da qualche momento di debolezza e dall’umanissima tendenza ad approfittare di eventuali circostanze favorevoli, a volte perfino al costo di commettere qualche piccola scorrettezza.

Un invito, semplice ma efficace, a non arrendersi, a lottare per ottenere ciò che si desidera davvero, a scegliere il sentiero indicato dall’istinto, a credere sempre e innanzi tutto in sé stessi, a fare appello alla propria passione quando niente sembra andare per il verso giusto.
Un insegnamento prezioso per grandi e piccini, basato su quel principio di meritocrazia tanto oscuro all’epoca in cui viviamo, ma in cui non voglio smettere di credere.

 

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Boh… Blogger

blog-блог

 

Viviamo un momento costellato di blogger: Fashion Blogger, Food Blogger, Travel Blogger e via di seguito, ma chi era un semplice blogger prima che la blogosfera finisse sotto le luci della ribalta, che tipo di blogger è?
Come dovrebbe definirsi chi, come me, ha iniziato a scrivere il proprio blog così tanto tempo fa da averlo “inaugurato” su piattaforme che si sono estinte ormai da anni? Bei tempi in cui ancora i blogger non millantavano super competenze in un qualche campo, ma si limitavano a trasporre nella più tecnologica versione in pixel il caro, vecchio diario personale.

Ho iniziato a scrivere quando avevo nove, dieci anni. Riempivo pagine e pagine di parole, in tutte le forme possibili e immaginabili: racconti, diario, poesie. Rivedevo, rifinivo, perfezionavo fino allo sfinimento, per poi copiare tutto con cura nei quaderni “in bella”.
Più o meno intorno ai quindici, sedici anni la scoperta dell’esistenza della blogosfera e il mio ingresso, da principio forse un po’ timoroso, in questo affascinante e poliedrico universo. Ricordo ancora con un sorriso le espressioni perplesse alla frase “Scrivo su un blog…”, quando ancora quasi nessuno sapeva cosa diavolo fosse un blog, e l’orgoglio di essere in qualche modo innovativa e fuori dal coro. L’esordio su una piattaforma che, finché è durata, mi ha dato modo di dilettarmi acnhe con le mie dubbie capacità grafiche e di imparare le basi dei codici html, perché la personalizzazione del proprio blog era questione di buona volontà: non c’erano i moderni e intuitivi strumenti di oggi, se volevi emergere dalla massa dovevi sbatterti e imparare ad arrangiarti.

Gli anni sono passati e, giunta alla veranda età di 32 anni, mi sento sempre più disorientata di fronte alla super tecnologica schermata bianca di WordPress.
Il sovraffollamento di blogger iper-competenti, ultra-specializzati, pluri-“followati” mi fa sentire piccola piccola e piuttosto insignificante.
Innanzi tutto, d’improvviso sembrano essere diventati tutti grandi scrittori, cosa che, ahimè, proprio non è. In contraddizione con questo, però, si staglia l’innegabile evidenza che a contare sia sempre più la mole di contenuti prodotti e non la loro reale qualità.
Se si vuole “diventare qualcuno” , essere fedeli al tema del proprio blog è un imperativo inoppugnabile, ma io, creatura ormai vetusta, trovo che questo altro non sia che un meschino ingabbiare il pensiero. La mente umana, così come la meravigliosa vastità del lessico, non sono fatte per rimanere rinchiuse in compartimenti stagni. Così non si fa altro che spacciare per prolifica creatività un costante e svilente riproporre la stessa pietanza in tutte le salse possibili e immaginabili.

Ogni giorno che passa è più palese che io appartenga all’epoca in cui i blog erano luoghi di riflessione e di profonda introspezione, mentre oggi, per buona parte, sono diventati strumenti lavorativi e/o pubblicitari.
Più volte ho pensato che avrei potuto approfittare della mia esperienza per auto-promuovermi o per sostenere e far conoscere le attività a cui vorrei dedicarmi dal punto di vista lavorativo, ma non ci sono mai riuscita.
Credo sia un po’ come quando vado in vacanza. Potrei fare qualche bella fotografia, scegliere con calma l’inquadratura migliore, modificarla con una qalche applicazione e inviarla alle persone più care, parenti e amici, ma non ce la faccio: alla fine preferisco sempre affidarmi alle care vecchie cartoline postali.

Questa nuova percezione del blog mi mette una gran tristezza, destabilizza il mio concetto originario di scrittura e, sempre più spesso, mi lascia disorientata riguardo al come continuare a rapportarmici.

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Io sono lo scrittore.

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Io sono lo scrittore.
È così che mi chiamano tutti. I miei amici, i miei genitori, i miei parenti, e anche le persone che non conosco e che tuttavia mi riconoscono in un luogo pubblico e mi dicono: “Lei non è quello scrittore…?” Io sono lo scrittore: è la mia identità.
La gente crede che, in quanto scrittore, la tua vita sia abbastanza tranquilla. Recentemente un mio amico, dopo essersi lamentato per i suoi spostamenti quotidiani tra casa e ufficio, mi ha detto: “Tu, in fondo, la mattina ti alzi, ti siedi alla scrivania e scrivi. Tutto qua.” Non gli ho risposto niente, forse per lo sconforto di rendermi conto fino a che punto, nell’immaginario collettivo, il mio lavoro consista nel non far niente. La gente pensa che non combini nulla, ma è proprio quando non fai niente che lavori di più.
Scrivere un libro è come aprire una colonia estiva. La tua vita, in genere solitaria e tranquilla, viene improvvisamente scombussolata da una moltitudine di personaggi che un giorno giungono senza preavviso e ti stravolgono l’esistenza. Arrivano una mattina, a bordo di un grande pullman, dal quale scendono rumorosamente, eccitati per il ruolo che hanno ottenuto. E tu devi rassegnarti, devi occupartene, devi dargli da mangiare, devi ospitarli. Sei responsabile di tutto. Perché tu, appunto, sei lo scrittore.

♦ “Il libro dei Baltimore”,
di Joël Dicker

 

Lunedì, nel “mondo là fuori”, la vita di tutti i giorni ha ripreso il suo corso.
Io, ancora blindata in casa grazie a una nuova fase acuta di AnarcoPatia, ho scelto di riprendere con questo paragrafo, che apre il primo capitolo de “Il libro dei Baltimore”, l’ultimo romanzo di Joël Dicker, nella speranza che possa essere profetico e portarmi fortuna.

Mi piace molto l’immagine creata da Dicker.
Non è necessario che si tratti di romanzi, e nemmeno di veri e propri personaggi, quando ti metti a scrivere subisci un assedio, un’invasione: immagini, luoghi, suoni, colori, profumi. Interi mondi si riversano nella tua testa da passaggi segreti invisibili, per lasciarla solo quando sta bene a loro.

La prima volta che mi sono ritrovata allettata, ero convinta che avrei scritto tantissimo, invece niente. Al di là delle vene esplose a causa dei farmaci nelle flebo, che mi rendevano quasi impossibile qualsiasi movimento delle dita, la cosa più grave era la testa del tutto vuota. Nessuna idea, zero.

Mi ero convinta che le parole sarebbero state il mio ponte di salvezza per attraversare l’impervio fiume della malattia in cui mi sentivo affogare, ma non è stato così. È subentrato un inaspettato silenzio mentale che mi ha portata a rimuginare sulle cose più di quanto io non facessi già di mio, rendendomi una persona rabbiosa, rancorosa e pessimista.

Questa volta, però, vorrei che fosse diverso.
Risfoderati i libri del caso, mi sono riarmata di carta e penna e mi sono rimessa a studiare e a esercitarmi.
Mi ci sono voluti tre anni, ma c’è una lezione che, alla fine, sono stata costretta ad imparare, ed è questa: quando il corpo non ti assiste, punta tutto sulla mente.
Concentrati su quello che sai e su come trasformarlo in un’opportunità di svolta, approfondisci e specializzati, così da poterti dedicare a quello che ti piace e ti appassiona, magari riuscendo anche a trarne dei progetti innovativi o un qualcosa di unico da offrire sul piano professionale, a cui nessun altro sia in grado di tenere testa.

E allora, in quest’ottica, viviamoci in allegria e assoluta tranquillità questo Venerdì 13, che tanto, per una questione di equilibrio universale superiore, è quasi impossibile che anche la prossima razione di sfiga cosmica sia destinata a me.

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Ma buongiorno Signor 2017!

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È ufficiale: abbiamo archiviato questo tremendo 2016!

In realtà non è proprio così, dato che il calendario medico è l’innegabile prova degli strascichi che mi ha lasciato in eredità, ma ho deciso di lasciare al 2016 quel che nel 2016 ha avuto origine, quindi pagina voltata: un nuovo, benevolo foglio bianco aspetta solo che io lo riempia di momenti felici e novità entusiasmanti.

Per quanto riguarda il blog posso dirmi soddisfatta per aver raggiunto l’obiettivo che mi ero posta, ovvero “superare” le statistiche del 2014, ma l’idea sarebbe quella di continuare a crescere e di migliorare ancora in costanza, aspetto che tuttora mi risulta piuttosto ostico.

L’ultimo acquisto dell’anno è stato all’insegna di una delle mie più grandi passioni, la meravigliosa lingua russa, e ho deciso che lo stesso varrà per il primo acquisto del 2017, anche se le nuove pubblicazioni interessanti sono tantissime, i soldi pochi e, di conseguenza, la scelta si fa difficilissima.

Non stilerò la canonica lista dei buoni propositi. Non che, quando mi è capitato di farla, io poi non mi ci sia applicata, è che proprio me ne dimentico nel giro di pochi giorni, nel migliore dei casi poche settimane.

Quello che posso dire è che i progetti che mi si agitano in testa sono pochi per i miei standard, ma la ridotta quantità è ben controbilanciata dal notevole innalzamento del loro livello di complessità: meglio poche cose fatte bene che tante fatte male, soprattutto ora che le energie sono razionate.

Ad esempio, la prima cosa che ho fatto, terminata la nottata con gli amici, è stata “imbrattare” la mia prima Moleskine originale, un lusso che non mi ero mai concessa perché avevo sempre visto lo storico taccuino come una sorta di Sacro Graal, da non contaminare con parole futili e insignificanti. La verità è che solo scrivendo tutto quel che passa per la testa si ha davvero la possibilità di riuscire a scrivere qualcosa di buono, mentre se ci si autocensura, nella convinzione di aver poco di valido da dire, si finisce per lasciarsi scappare anche le idee degna di nota.

Forse l’unico simil buon proposito per quest’anno, altro non è che il rinnovo del mio più classico e inflazionato proposito da anno nuovo: scrivere.
Scrivere ogni volta che qualcosa mi fa arrabbiare, scrivere ogni volta che mi sento giù, scrivere ogni volta che vorrei abbuffarmi di qualcosa che non posso mangiare, scrivere ogni volta che i farmaci sembrano farmi più male che bene, scrivere ogni volta che i dolori rendono insooportabile il semplice atto di respirare, ma anche scrivere ogni volta che gli occhi degli AnarcoNipotini si illumineranno vedendomi, scrivere ogni volta che un istante indimenticabile si aggiungerà all’elenco di quelli trascorsi con l’AnarcoSocio, scrivere ogni volta che mi farò una risata di cuore con un’amica, scrivere ogni volta che gli esiti delle analisi miglioreranno.

Proprio come i progetti, per il 2017 le motivazioni per cui scrivere sono diminuite, ma quelle rimaste sono più serie e impegnative che mai, quindi chissà mai che possa essere l’anno buono.

Intanto la prima fiaba del 2017 ve l’ho già rifilata, perché, anche se le fiabe non sono farina del mio sacco, le buone abitudini vanno mantenute.

 

Buon 2017!!!

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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