Articoli con tag: Alienazione

Un pezzo alla volta.

 

Graduali prese di consapevolezza che, oggi, fanno male, ma forse, domani, si riveleranno provvidenziali.

Lenta e faticosa comprensione del fatto che i problemi del corpo vanno risolti innanzi tutto nella testa.

Poi una canzone, rimasta chiusa in un CD comprato sei mesi fa e ascoltato per la prima volta solo la settimana scorsa, mi si è piantata in testa.

In quattro minuti e una manciata di secondi ho ritrovato tutte le sensazioni che mi tormentano in questo periodo, descritte con parole che rendono alla perfezione quello che io cercavo di esprimere ormai da settimane, senza riuscirci.

All’inizio volevo mettere in grassetto le parti in cui riconoscevo me stessa e tutte le emozioni a cui sto soccombendo, poi ho pensato che sarebbe stato meglio mettere in evidenza i buoni propositi che, per l’ennesima volta, stanno tentando di insinuarsi nelle spesse mura del ‘sepolcro’ di frustrazione in cui mi sono blindata.

Alla fine, non ho saputo decidere quale delle due cose fosse più importante, così ho scelto di usare i colori: uno per le emozioni e un altro per i buoni propositi, così che nulla restasse escluso.

 

Alzati e cammina
Per scoprire di essere vivo come non mai

Lazzaro stamattina
E resuscita un pezzo alla volta la volontà

Ora che sei un’emozione scaduta
Ora che sei una certezza tradita
Ora che sei un’ambizione svenduta
Chiuso nel tuo sepolcro

Quello che avevi oggi non vale più
Hai studiato, creduto, lottato e sofferto
C’era un sorriso negli occhi che non c’è più
Col futuro qualcuno ha giocato d’azzardo

Alzati e cammina
Per scoprire di essere vivo come non mai

Lazzaro stamattina
E resuscita un pezzo alla volta la volontà

Ora che sei una protesta ammaestrata
Ora che sei una carezza svogliata
Ora che sei una speranza piegata
Chiuso nel tuo sepolcro

Alzati e cammina
Per scoprire di essere vivo come non mai

Lazzaro stamattina
E resuscita un pezzo alla volta la volontà
Un pezzo alla volta
Un pezzo alla volta
Un pezzo alla volta

Se ci hai creduto oggi c’è un più
Hai discusso sprecato amato ed offerto
C’è un’ipoteca anche sulla tua dignità
Nel crudele silenzio delle notti insonni

Alzati e cammina
Per scoprire di essere vivo come non mai

Lazzaro Stamattina
E resuscita un pezzo alla volta la volontà
Un pezzo alla volta
Un pezzo alla volta
Un pezzo alla volta
Un pezzo alla volta

C’era un volta ora non c’è più
Mentre l’unica cosa che resta davvero sei TU

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Nerissimo.

 

Domenica 8 Maggio 2016. Ore 23:50.

Le mani scorticate per il troppo applaudire.

Di colpo risvegliarmi nel profondo dello stomaco, riscoprire i segreti sepolti nei doppi fondi delle viscere.

Il passato che torna per finire di scuoiarmi, esposte le membra mi divora, a morsi, vomitando parole nuove dal significato antico.

Dopo anni ritrovarmi a imbrattare pagine e pagine in piena notte, assediata da un sonno feroce, ma del tutto incapace di dormire.

Non è così che sarebbero dovute andare le cose.
Ero convinta che sarebbe stato un libro a darmi lo scossone decisivo.
Le parole c’entrano, ma non si è trattato di parole scritte: a rivoltarmi l’anima sono state le parole cantate dalla carismatica voce di Blixa Bargeld, sulle ipnotiche sonorità di Teho Teardo.

Una catartica fusione di tedesco, italiano e inglese, in un lampo la visione di sogni frantumati e spazzati via da venti furibondi.

Le parole di Blixa.
Un pugno in piena faccia.
Quelle parole che ormai da mesi continuavano a sfuggirmi.
Quelle parole che guardandomi, beffarde, si prendevano gioco di me da settimane.
Quelle parole che, di colpo, mi sono piovute addosso da un amplificatore.

 

Mi sono permessa di “parafrasarle” appena, solo per adattarle al mio contesto “artistico”, se così lo si può definire:

 

C’è tanto nero nel mio repertorio
Molte ombre nel mio arsenale
Così scrivo quello che scrivo meglio
scrivo ciò che scrivo meglio
Nero
Uso tutto il nero
Nerissimo
Fino a quando arriveremo dall’altra parte
E non c’è più
Non c’è più buio

 
 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Flusso di Coscienza. #15

дождь-pioggia

 

Domenica 29 Maggio 2016. Ore 17:51.

Fuori dal finestrino le nuvole, nere, sembrano avere enormi fauci, spalancate a mostrare denti aguzzi e minacciosi.
Sento il loro morso straziarmi lo stomaco, mentre non riesco a distogliere gli occhi dal dinamico quadro astratto che i tergicristalli dipingono sul parabrezza con le gocce di pioggia battente.

Ripenso a un tizio sentito in televisione, alla sua riflessione sulla differenza fra le espressioni “voto alle donne” e “voto delle donne”, al potere delle parole, a quanto una semplice preposizione possa cambiare tutto, all’incertezza che mi attanaglia di fronte al mio personale bivio fra “con” e “da”.

Penso alle mie ultime analisi del sangue, peggiorate, e al fatto che, in realtà, non me ne frega niente, perché se è il risultato dell’aver ripreso a vivere un po’, allora mi tengo le analisi schifose e vaffanculo.
Stanca morta per stanca morta, tanto vale divertirsi.

Penso ai nervi delle mie mani, ormai tanto malconci da avermi deformato la grafia, ma non abbastanza da avermi fatto desistere dai miei propositi di scrittura.

Penso a chi guarda dall’alto della sua laurea al basso del mio diploma, ma poi scive “Gli ho salvati”.

Penso al senso di impotenza che mi assale quando andare al cinema da sola mi fa venire gli attacchi di panico, o quando rimugino per settimane sull’andare o meno a un concerto che reputo imperdibile, perché non so se il fisico mi assisterà.

Penso ai muri di gomma contro cui continuo a schiantarmi, magari senza neanche farmi troppo male, ma senza mai neanche riuscire a oltrepassarli.

Penso alla moltitudine di parole vuote e inutili che riesco a vomitare in un giorno, costretta dalle incombenze quotidiane, mentre quelle importanti sono incastrate ormai da mesi fra lo stomaco e la gola.

Penso a dove sono e a dove vorrei essere.
Penso a quello che faccio e a quello che vorrei fare.
Penso a quella che ero, a quella che sono, a quella che vorrei essere, ma che forse non sarò mai.

Penso che il temporale è finito e io non me ne sono accorta, quindi, forse, sarebbe meglio smettere di pensare. Almeno per un po’.

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Oggi va così… #2

 

You cry out for help,
cuz you’ve lost your soul.

 

Ore 08:46.
Un peso allo stomaco di colpo si sbriciola e svanisce.
Così. Senza preavviso.

Perché? Non lo so.
Come? Non so neanche questo.

Un attimo di lucidità in cui mi è chiaro qualcosa che cerco di afferrare da almeno un mese, ma è solo un istante che sfuma nel nulla da cui è emerso.

Sono di nuovo una molecola di silenzio nell’occhio di un ciclone di suoni che non riesco a comprendere, né ad apprezzare, melodie che si distorcono e arrivano a me sotto forma di frastuono, facendomi impazzire.

È difficile da spiegare, ma in fondo perché dovrei farlo?

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Mi piacerebbe saper cantare…

писать-scrivere

 

Mi risulta abbastanza ostico comprendere perché il blog riceva più visite quando non scrivo…

Fino a qualche anno fa non era così: che i miei post siano diventati tanto noiosi da far sì che, nel mio caso, i lettori preferiscano “premiare” il silenzio?

Qualunque sia l’arcano di questo annoso dilemma esistenziale, non sperate che io smetta di ammorbarvi con le mie elucubrazioni mentali.

Questa volta a smuovermi è stata una canzone, di cui non svelerò né il titolo né l’interprete, perché non sono fondamentali, quel che conta è lo scossone che mi ha dato.

In fondo chi se ne frega se a nessuno interessa un post sull’affascinante universo della linguistica pura, se nessuno condivide la mia curiosità sulle norme che regolano la corretta accentazione della meravigliosa lingua italiana, se nessuno si emoziona quanto me di fronte alla poliedricità e all’eclettismo dell’amata Madre Russia, se nessuno si spiega la mia ostinata determinazione nel continuare a studiare di tutto e di più da autodidatta, se nessuno ha voglia di dar retta ai miei piagnistei su quanto essermi scoperta malata mi faccia ancora incazzare a morte: io scrivo per me.

Ho sempre scritto per me, ma devo essere caduta vittima di una temporanea amnesia e la ragione, subdola ingannatrice, ha colto la ghiotta occasione per provare a convincermi del falso, del fatto che anch’io, come molti altri, scrivessi per la “gloria” o, ancora peggio, per la vana e utopistica speranza di camparci, prima o poi.

Non è così.
Scrivo perché amo scrivere.
Scrivo perché scrivere mi fa male, ma quel dolore è la sensazione più bella che io abbia mai provato stando sola con me stessa.
Scrivo perché mi sarebbe piaciuto saper cantare, ma non lo so fare.
Non sono proprio capace di fare acrobazie con la voce, di amplificare il significato delle parole accompagnandole alla vibrante potenza della musica, e allora ecco che scrivo: gioco con le parole lasciando che compiano da sé la magia, dando vita alla loro particolare melodia, diversa e irripetibile nella mente di ogni persona che le legge.

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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L’Amante di Lenin.

инесса-арманд-ленин-inessa-armand-lenin

 

Di questo amore non si deve sapere
di Ritanna Armeni

Un libro inaspettato, ricevuto in regalo, prescelto come capostipite di una neonata stirpe di libri che si è aggiunta alla mia già imponente collezione: quelli sulla Grande Madre Russia, sulla sua storia, la sua cultura, ma soprattutto sui suoi carismatici e memorabili personaggi e sui suoi affascinanti ed enigmatici intrighi.

Pagina dopo pagina, la scelta si sta rivelando azzeccata.
Inessa Armand, di cui il libro racconta la vita, è stata una donna tutta d’un pezzo che, pur potendo avere qualunque cosa desiderasse, ha sacrificato ogni cosa, perfino gli affetti, in nome della propria ideologia e di quella che lei chiamava “la Causa”.

Conosciuta per essere stata la più famosa e attiva rivoluzionaria e femminista della Rivoluzione d’Ottobre del 1917 in Russia, questo libro focalizza l’attenzione anche sull’altro ruolo di Inessa Armand, quello “scomodo”, quello di amante di Vladimir Il’ič Ul’janov, noto al mondo come Lenin.

L’approfondimento storico è ridotto al minimo indispensabile, forse si dà per scontato che tutti sappiano degli eventi di cui si fa cenno. Il taglio del libro è in prevalenza biografico, ma proprio l’assenza di frequenti e rigorosi dettagli storici fa sì che la narrazione risulti più scorrevole e, almeno per i miei gusti personali, molto più piacevole.

Passando oltre qualsiasi possibile recensione di stile e contenuti, a colpirmi è stata la determinazione di Inessa Armand. Leggere di come questa donna vissuta in tempi, ma soprattutto circostanze di sicuro non semplici, sia riuscita a rimanere fedele a sé stessa, è stato uno scossone.
In un momento in cui lo sconforto stava prendendo il sopravvento, una sferzata d’entusiasmo ci voleva proprio per rimettermi in carreggiata.
Ho ripreso a leggere, a scrivere, ad ascoltare musica, a guardare film, a cucinare, ho mandato una mail alla mia docente per riprendere con gli esercizi e le traduzioni di russo, ho perfino rivisto la mia “tabella di marcia”, nel tentativo di riorganizzare il mio poco tempo libero in un modo un po’ più funzionale.
Mi piacerebbe riuscire a mettermi in testa, una volta per tutte, che gettare la spugna non è fra le opzioni contemplabili: questa è la lezione che spero di aver imparato dal racconto della vita di Inessa Armand.

Non importa se i capelli continuano a cadere, se lo stomaco si rivolta, se la vista traballa, se le mani sanguinano, se il cervello si annebbia, non deve importare. L’imperativo ora è tirare dritto per la mia strada a testa bassa, senza permettere a niente e a nessuno di distrarmi o di intralciare il mio percorso.

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Oggi va così… #1

 

Ha il diritto di rimanere in silenzio,
tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei.

 

Con queste famosissime parole da serie televisiva americana, apro una nuova serie di post.

Ci sono momenti in cui non si hanno parole proprie per esprimersi o in cui, nel caso specifico, le parole ci sarebbero anche, ma permeate dal rischio che mi si ritorcano contro in un pericolosissimo effetto boomerang.

Proprio per non impazzire nei momenti di silenzio forzato o di silenzio da mancanza di parole adatte, ho deciso di dare vita a “Oggi va così…”.
Fotogrammi di vita affidati all’arte altrui, qualsiasi sia la sua forma: pittura, musica, fotografia, scrittura…

Non importa quale sarà l’emozione che mi istigherà a far uso di questi “prestiti”, a contare sarà il fatto di esprimerla in qualche modo, così da poterla sfogare senza permetterle di consumarmi, di divorarmi dall’interno, ma senza perderne le tracce, per poterne sempre ricordare gli insegnamenti.

Che lo spettacolo abbia inizio!

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Pura e Nobile.

аутоиммунитет-autoimmunità

 

Mi sento in trappola.
Non importa su quale strada io mi incammini, mi ritrovo sempre in un vicolo cieco.
Sempre lo stesso.

Ci sono diverse teorie secondo cui i disturbi fisici, più o meno gravi, che capitano a ognuno di noi, altro non sono che riflessi di quello che ci tormenta a livello emotivo. Più profondo e divorante è il problema, più grave rischia di essere la manifestazione fisica.
Non so se sia vero.
A volte mi dico che sono solo una marea di stronzate, altre invece mi convinco a crederci perché, se davvero fosse così, un bravo terapeuta sarebbe l’elisir di perfetta salute.
Quello a cui preferisco non pensare, considerata l’AnarcoPatia, è quanto enormi e radicati in profondità debbano essere spettri capaci di dare origine a una cosa simile.

Vado avanti per inerzia.
La verità è che non mi frega più niente di niente e che sembra esserci un meccanismo perverso pronto a estinguere sul nascere qualunque scintilla di entusiasmo osi avventurarsi allo scoperto, fuori dalla torbida coltre di calma apparente in cui ho lasciato che si trasformasse la mia vita, non per quieto vivere, ma per imperante apatia.

In questo periodo non c’è una canzone che mi esalti, un libro che muoia dalla voglia di leggere, una ricetta che non veda l’ora di sperimentare, una regola della grammatica russa che mi istighi a volerne sapere di più, un posto in cui non possa fare a meno di andare, e potrei continuare a oltranza…

Incastrata.
Ecco come mi sento.
Come una pillola che si blocca fra la bocca e lo stomaco: fastidiosa e del tutto inutile.

Dopo aver ridimensionato i sogni a più modesti obiettivi da comune mortale, ora sono alle prese con la tappa successiva, quella in cui ci si chiede quale sia la strategia più indolore per sopravvivere al fallimento.
Non sopravvivere a UN fallimento, ma AL fallimento: completo, su tutta la linea.

C’è stata una fase, dopo le dimissioni dall’ospedale, in cui pensavo che il dolore fisico imposto da altri, contro la mia volontà, avesse invigliacchito il mio lato autolesionista. Non c’era più quell’urlo interiore insopportabile che mi esasperava ordinandomi di ferirmi finché non cedevo per sfinimento. La paura suscitata dal ricordo del ricovero annientava del tutto il coraggio che per mesi, anni, era stato il mio più fedele compagno, quello di farmi male da sola, per avere conferma di essere viva. Così ho mandato all’aria la dieta, ho smesso di curare i tagli e gli sfoghi sulla pelle, ho lasciato che malattia ed effetti collaterali della terapia facessero i loro comodi, senza opporre alcuna resistenza: passività e incuria come subdole, codarde forme sostitutive di autoviolenza.

Poi un lampo, ridottosi quasi subito a una piccola lucciola solitaria e sperduta nell’oscurità più fitta.
Una sola parola: AUTOIMMUNE.
Esiste forse un’espressione più pura e nobile di autolesionismo?
Il sistema immunitario diserta, attaccando con ferocia ciò che dovrebbe difendere con stoica determinazione.
Il corpo calpesta tutto, emozioni e razionalità, e si ripudia, si autodistrugge.

Tutto questo è successo in assoluto silenzio, nemmeno un flebile respiro a incrinare l’assoluta immobilità in cui ho cristallizzato l’anima.
La famigerata maschera ben salda sul viso, per scongiurare il rischio che l’altrui morbosa curiosità scalfisca la liscia e perfetta superficie di impermeabile insensibilità in cui mi sono segregata.

Mi sta bene tutto e il contrario di tutto, perché in realtà nulla fa più la differenza fra buono e cattivo.

Ho rinchiuso il cuore e la mente.
Ho buttato la chiave.
Non avevo previsto che sarebbero riusciti a portarsi nelle loro celle anche l’inchiostro, da sempre unica freccia al mio arco, unica arma con cui combattere i mostri dell’inadeguatezza.

Mi sono rifugiata in un rassicurante limbo di gesti compulsivi e rituali ossessivi di cui solo io conosco il significato e l’immenso potere anestetizzante.

Non provare più niente.
Questo è l’obiettivo.
Mirare senza alcuna esitazione all’egoistica meta dell’autoconservazione, imparando la crudele e spietata arte dell’impassibilità assoluta.

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Io e i Buoni Propositi. #8

buoni-propositi

 

In questo periodo mi sono trovata spesso a chiedermi se il dover ritentare di continuo a riprendere in mano le redini della mia vita sia segno di fallimenti e inconcludenza costanti o di determinazione e buona volontà abbondanti.

È difficile rispondermi, così sono passata oltre, dedicandomi all’ennesimo tentativo.
Forse il problema vero è che, quando mi ci metto, vorrei fare millemila cose tutte insieme e il risultato è che mi ritrovo stanca morta dopo pochi giorni senza riuscire a concluderne nessuna.

Innanzi tutto, sarebbe bene ricominciare a prendermi cura del mio povero corpo. Non parlo certo di una “ristrutturazione” in grande stile, mi riferisco alle piccole cose, come smettere di scarnificarmi le dita divorando le pellicine, ricominciare a fare una pulizia del viso come si deve almeno 2/3 volte al mese o riesumare la buona abitudine della crema su gambe e spalle martoriate dagli sfoghi da farmaci.

Cura del corpo traditore a parte, dovrei decidermi a scegliere su quale delle mie infinite passioni concentrarmi sul serio, essendo ormai palese che non sono in grado di coltivarle tutte in simultanea.

Abbandonare il russo sarebbe deleterio, soprattutto dopo tutta la fatica fatta finora, ma quest’anno fra i corsi che ancora non ho frequentato c’è ben poco che risponda all’indirizzo che vorrei dare a questa mia competenza. In più i ritmi legati ai corsi in questione sarebbero abbastanza pesanti per il suddetto traditore, quindi sono un po’ demoralizzata. Al momento confido nella disponibilità di una docente per organizzarmi in modo alternativo, ma si vedrà…

La scrittura, come testimoniano parecchi post precedenti, mi manca, ma anche quella richiede tempo ed energie che non sempre so dove andare a pescare.
Non solo mi piacerebbe riuscire a essere un po’ più costante col blog, sarebbe bello anche riprendere con i racconti.
Nonostante ormai siano passati 5 anni, l’emozione di vedere il mio nome nero su bianco su un libro, un libro vero, continua a essere una delle più belle e travolgenti che abbia mai provato.

A chiudere la “Top 3” ci sono i dolci.
Quanto è rilassante sfornare biscotti con i disegnini per i nipotini o inventarsi decorazioni fantasiose e personalizzate per i dolci di compleanno?!
Devo davvero ripetermi?! Secondo me sappiamo tutti che cucinare richiede, a sua volta, tempo ed energie.

Per scrivere questo post, ad esempio, ho saccheggiato la batteria del cellulare “approfittando” dell’ennesimo, spaventoso ritardo dei treni. Questo, però, ha comportato che il libro di russo rimanesse ben chiuso nella borsa, invece che ben spalancato davanti ai miei occhi.

A tutto questo si aggiunge il fatto che quest’anno ho letto davvero pochissimo, almeno per i miei standard, e che una passeggiata, un cinema, una pizza o una merenda, soprattutto nei fine settimana, sono d’obbligo, giusto per riprendere fiato e non impazzite del tutto.

Insomma, un gran casino…

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Flusso di Coscienza. #14

дведоли-due-parti

 

Ho chiuso gli occhi.
Ho fatto un respiro profondo.
Ho lasciato che le dita sfogassero la tensione repressa.

Chi scrive sa bene di cosa sto parlando.
Quella sensazione indescrivibile data dai muscoli delle dita che guizzano sulla tastiera o si stringono attorno a una penna.

Mi è costato una fatica immensa, ma qualche giorno fa, per la prima volta, sono riuscita a parlare con qualcuno del fatto che, da quando è arrivata l’AnarcoPatia, non riesco più a scrivere.
Di sicuro parlarne non risolve il problema, ma almeno aver ammesso che qualcosa non va è stato un primo passo per provare ad affrontarlo sul serio.

Sono mesi che questo silenzio rimbomba nel vuoto assoluto della mente.
Non sono ancora riuscita a capire se sia “solo” una conseguenza dello stordimento da farmaci o se sia un rifiuto categorico del mio subconscio di confrontarsi con tutto quello che l’AnarcoPatia ha tolto o aggiunto alla mia vita, senza preoccupazione alcuna per il parere della sottoscritta in merito.

Le parole sono uscite “sbagliate” dalla mia bocca, proprio come quando provo a scriverle, ma almeno sono uscite.

La nostalgia di quando scrivevo fino a farmi venire i crampi alla mano mi divora giorno dopo giorno. Facevo perfino gli esercizi di scrittura, per confrontarmi con generi e stili diversi, per migliorare la tecnica, per affinare lo stile.

Quando mi hanno pubblicato il primo racconto credevo, dopo anni, di aver raggiunto la prima di una serie di svolte, che col tempo mi avrebbero portata a fare della scrittura qualcosa di più di una passione privata, ma a quanto pare mi sbagliavo. È stato solo un lampo, una luce abbagliante, calda, rassicurante, ma temporanea, durata solo un attimo. In quel periodo imbrattavo così tante pagine al giorno, che non sarei riuscita nemmeno a immaginare che prima o poi un blocco di questo calibro si sarebbe potuto abbattere su di me. E ora è proprio come l’istante che segue lampo: l’oscurità sembra essersi fatta ancora più fitta.

 

Non mi importa che questo mantra sia nato da tutt’altra circostanza, non credo potrei mai trovarne un altro più adatto anche per questo momentaccio. Ora più che mai…

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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