Ritorno alla “normalità”

Bled - Slovenia

Lago e Isola di Bled – Slovenia
Image Credit © VeRA Marte

 

Di solito è mia abitudine ignorare i primi 2-3 richiami della sveglia, ma già la settimana scorsa ho battuto me stessa dimenticando del tutto di puntarla, ed era solo il terzo giorno di lavoro, parliamone.

Ero partita con la convinzione che in vacanza avrei letto tantissimo, scritto tantissimo, tradotto tantissimo, meditato tantissimo, riprovato a fare yoga, sfornato tantissime nuove idee per “rinfrescare” il sito di Anima Russa e avviare i vari account social, invece niente. Mi è più o meno riuscito solo il primo di questi nobili propositi, ma neanche troppo bene.
La realtà, come suo solito, non ha mancato di ricordarmi che non sempre si può fare quel che si vuole, quanto meno non sempre al primo tentativo, perché, intendiamoci, la costanza e la determinazione, sul lungo termine, pagano.

C’era anche l’intenzione di tenere una sorta di “diario di bordo” qui sul blog, invece queste sono le prime parole che scrivo da quando ho iniziato le ferie e, per rendere il concetto, vorrei precisare che le mie ferie sono ufficialmente finite dieci giorni fa.
Sorvolando sul mesto fallimento e sulla salute, che non è stata propriamente collaborativa, la Slovenia si è rivelata una piacevolissima sorpresa: un costante e rasserenante abbraccio di Madre Natura, grande quanto un’intera nazione.

Da qualche tempo ho scelto di intraprendere un percorso personale a metà fra il pagano e l’orientaleggiante, una bizzarra combinazione dai contorni ancora sfuocati che ho deciso di “cucirmi” su misura, rimodellandola giorno dopo giorno in modo che possa aiutarmi a perseguire al meglio l’obiettivo che mi sono proposta di raggiungere, ovvero trovare e mantenere la serenità, e che, nonostante il suo essere ancora piuttosto “fumosa”, sta già mostrando i primi risultati, grazie al cielo positivi.
Alla luce di questo, sono abbastanza convinta che la Slovenia non sia stata un colpo di testa dell’ultimo minuto “casuale”, ma una sorta di “illuminazione” che mi ha portata in luoghi in cui avevo bisogno di andare per riuscire a fare dei passi avanti concreti in relazione ad alcune questioni e per fare pace con me stessa in relazione ad altre.
Difficile stabilire quanto dureranno gli effetti dell’immersione totale fra le braccia della Madre Terra, ma al momento evito di chiedermelo e mi limito a godermeli, insieme alla certezza che non potranno svanire nel nulla come se non avessi mai fatto questo enigmatico viaggio.

Stare su una barca in mezzo a un lago dalla limpidezza quasi surreale e scendere a 144 metri di profondità nel silenzio quasi religioso di maestose grotte carsiche.
Ascoltare il fruscio del vento fra le foglie degli alberi, mentre si asciugano al caldo sole estivo dopo un dei temporali più violenti che io abbia mai visto.
Osservare l’imponente profilo delle montagne incorniciare i riflessi cangianti del mare.

Una continua improvvisazione, un continuo fuori programma, un continuo abbandonarsi e lasciarsi trasportare dalle emozioni del momento, la consueta sensazione di essere “a casa” che mi travolge ogni volta che mi trovo in un paese slavo, facendomi sentire libera e viva come non mi sentivo da tempo.

Questa è stata la mia vacanza.
Questa è stata la mia Slovenia.

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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6,25 mg

piuma_6,25

Image Credit © VeRA Marte

 

Torno a scrivere dopo oltre 8 mesi, con la cauta e prudente insicurezza di chi, dopo una brutta caduta, rimonta in sella per la prima volta.

Torno a scrivere da una casa nuova, una provincia nuova, una regione nuova.

Torno a scrivere in un giorno di festa di metà agosto, che per me è solo un giorno di pausa, mentre il 90% dei miei connazionali è in vacanza.

Torno a scrivere qui, senza in realtà aver mai smesso di farlo altrove, ma alla vecchia maniera, con carta e penna.

Torno a scrivere partendo da un numero: 6,25 mg.
Il dosaggio di prednisone più basso raggiunto dal novembre 2016 a oggi,seppure a giorni alterni con un dosaggio più alto. Primo vero passo verso la sospensione definitiva prevista per dicembre, analisi di monitoraggio permettendo.

Torno a scrivere con la consapevolezza che la malattia rara è sì condanna, ma anche enorme risorsa.

Torno a scrivere forte di piccole vittorie, ma, soprattutto, di grandi sconfitte, perché sono proprio queste ultime a insegnarci a vivere davvero.

Torno a scrivere piena di domande e senza alcuna idea di dove cominciare a cercare le risposte.

Torno a scrivere con la prospettiva di un’imminente vacanza all’insegna di una passione ormai antica e di sicuro radicata, che promette di regalare emozioni destinate a trasformarsi in ricordi indelebili.

Torno a scrivere da un luogo indefinito, a metà fra la testa e il cuore, fra i groppi alla gola e le farfalle allo stomaco, un luogo dove le parole guariscono più dei farmaci, dove è il contenuto a contare, non l’involucro.

Torno a scrivere perché è l’unico modo che conosco per tornare a galla e riprendere fiato, mentre tutto intorno a me sembra volermi inghiottire, enormi fauci scure pronte a divorarmi e inghiottirmi, spingendomi sempre più a fondo in un buco nero senza fine né via d’uscita.

Una parola dopo l’altra, in punta di piedi, torno a scrivere.

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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E 2018 fu…

2018

 

Meno tre, due, uno… 2018ooooo!!!!!

Vacanze già finite, ma va bene così.
Un raffreddore importante si è accomodato di traverso fra me e i programmi che avevo per questi giorni di tregua dalla vita ‘normale’, senza però riuscire a fermarmi del tutto.

Nessun buon proposito, è una tradizione che ho abbandonato da tempo, ma questo non significa che manchi la buona volontà di impegnarmi a fare di ogni nuovo anno un anno migliore.

I progetti sono meno del solito, ma solo perché sono più impegnativi e, spero, meglio focalizzati sugli obiettivi da raggiungere. Il lavoro da fare sarà davvero parecchio e le garanzie di riuscita, almeno per ora, sono pressoché nulle, ma sono convinta che, comunque dovesse andare, il mio bagaglio di esperienza ne uscirà arricchito come mai prima.

Il 2017, con tutti i suoi alti e bassi, ha portato nella mia vita alcune persone nuove che mi hanno dato lo scossone necessario per affrontare le paure e i timori che mi facevano esitare riguardo al mio sogno di fare delle traduzioni una professione. La strada da fare è ancora tanta, ma trovare dei modelli a cui ispirarmi per riprendere il mio cammino è stato fondamentale.

L’anno passato è stato un ricettacolo di cambiamenti, alcuni piccoli, altri decisamente grandi. La confusione in testa è tanta e ancora non so come riuscirò a gestire tutto, ma, come già detto, la buona volontà non manca, quindi confido di trovare presto la quadra per far funzionare tutto al meglio.

Non siamo onnipotenti, ma se c’è una cosa che ho imparato dal 2017, è che possiamo essere uno dei fattori determinanti nell’evolversi della nostra vita, ed è proprio da questa nuova consapevolezza che vorrei provare a ripartire, facendone una sorta di mantra per il 2018, perché possa essere davvero l’anno della svolta.

 

BUON 2018!!!

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Evoluzioni di una bizzarria

anarcopatia

Ci siamo!
È arrivato dicembre, portando con sé la neve: quella di WordPress e quella vera, almeno dove vivo io.
Mese nuovo, anno vecchio, ormai agli sgoccioli.
Tempo di bilanci e rese dei conti.

Il 2017 è stato un anno strano, pieno di cambiamenti, e le cose sono cambiate così tanto che, per la maggior parte, non saprei dire se in meglio o in peggio.

Ad esempio, circa una settimana fa è stato il primo anniversario di quello che doveva essere “solo” un “breve” periodo di riposo forzato.
Ancora una volta, la vita ha deciso per me che dovessi fermarmi, ma questa volta non è riuscita a cogliermi impreparata.
Mi ci è voluto qualche mese per incassare e metabolizzare la recidiva, ma poi è arrivata la reazione: non un’esplosione come le altre volte, ma un’onda che, lenta e implacabile, è andata crescendo e facendosi sempre più inarrestabile.

No, in tutto questo turbinio di vicissitudini non mi sono dimenticata del blog, e sì, so di aver saltato anche la pubblicazione della fiaba russa nelle ultime settimane, ma sono stata “sequestrata” dai nuovi progetti a cui mi sto dedicando, nella speranza che il 2018 sia l’anno in cui li vedrò prendere una forma concreta.

Un passo alla volta, traballando, vacillando, molto spesso cadendo, mi sono rialzata ogni volta un po’ più forte, un po’ più consapevole e, cosa più importante, non mi sono mai fermata.
Giorno dopo giorno, in bilico fra gioie e frustrazioni, fra voglia di farcela e tentazione di gettare la spugna, ho imparato come fare delle mie debolezze i miei punti di forza.

Questa volta l’immobilità imposta non è riuscita a sopraffarmi e la vita, seppure a rilento, è andata avanti anche per me, invece di relegarmi al ruolo di spettatrice passiva.

Mi sono impegnata per comprendere più a fondo i nuovi ritmi del mio corpo invece di continuare ad arrabbiarmici, così da poter trovare nuovi equilibri che mi permettessero di restituire nitidezza alle mie idee, ai miei progetti, ai miei sogni.
Così sono arrivate le mie prime traduzioni retribuite, i miei primi seminari, uno di scrittura creativa e uno di traduzione editoriale, i miei primi mandala, il mio primo ciclo di fisioterapia, la ripresa dello studio di lingue che avevo perso per strada, i miei primi investimenti, economici e non solo, con la prospettiva di un cambiamento professionale e significative svolte sul fronte personale che, in quanto tali, per ora non approfondirò oltre.

Quel che conta più di tutto, però, sono le persone.
Le persone che, nonostante la complessità della situazione, si sono riconfermate delle costanti nella mia vita.
Le persone che, sparendo, in realtà mi hanno alleggerita, lasciando spazio ad altre persone, persone nuove, che durante questo anno mi hanno insegnato e donato tanto, senza chiedere nulla in cambio.
Le persone che hanno combattuto le piccole grandi battaglie quotidiane di questi lunghi mesi al mio fianco, senza permettere alle loro paure e preoccupazioni di trasparire ai miei occhi e offrendomi sostegno costante e incondizionato.

A un anno dal tracollo, però, c’è una persona a cui vorrei rivolgere un grazie speciale per aver continuato a lottare, per non aver mollato nemmeno nei momenti peggiori, per non aver permesso agli imprevisti di scalfire la determinazione, per avere almeno provato a cercare sempre il lato positivo di ogni situazione, per aver creduto nella possibilità di fare della propria “stranezza” il proprio tratto distintivo, per aver capito che il segreto della sopravvivenza, e chi lo sa, magari col tempo anche della felicità, è volersi bene, senza ‘se’ e senza ‘ma’: un grazie di cuore a me stessa!

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Lo zar-fanciulla

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In un certo reame, in terre lontane, c’era una volta un mercante; la moglie gli era morta, gli era rimasto solo il figlio Ivan. Affidò il figlio a un servo, mentre lui, dopo qualche tempo, si risposò, e siccome Ivan figlio di mercante era già grande e molto carino, allora la matrigna si innamorò di lui. Una volta Ivan figlio di mercante andò con una piccola zattera in mare a pescare con il servo; all’improvviso, videro venire verso di loro trenta navi. Su quelle navi c’era lo zar-fanciulla con altre trenta fanciulle, le sue sorelle adottive. Quando la piccola zattera incrociò le navi, subito le trenta navi gettarono l’ancora. Invitarono Ivan figlio di mercante e il suo servo sulla nave più bella; là li ricevette lo zar-fanciulla con le trenta sorelle adottive, e disse a Ivan figlio di mercante che lo amava perdutamente ed era venuta a trovarlo. Allora si fidanzarono.
Lo zar-fanciulla ordinò a Ivan figlio di mercante di trovarsi l’indomani alla stessa ora allo stesso posto, lo salutò e riprese il mare fino a sparire. Ivan figlio di mercante, invece, tornò a casa, cenò e si mise a dormire. La matrigna invitò il servo di lui nella sua camera, lo fece ubriacare e gli fece un sacco di domande: avevano preso niente? Il servo le raccontò tutto. Quella, dopo aver ascoltato con attenzione, gli diede uno spillo e disse: «Domani, quando vi si avvicineranno le navi, appunto questo spillo nel vestito di Ivan figlio di mercante». Il servo promise di eseguire l’ordine.
Il giorno dopo, Ivan figlio di mercante si alzò e andò a pesca. Appena il servo vide che le navi si stavano avvicinando, subito prese e appuntò lo spillino nel vestito di Ivan. «Ah, che sonno!» disse il figlio di mercante. «Senti, vorrei farmi un pisolino, ma quando le navi saranno qui, allora, per favore, svegliami». «Bene! Sta’ tranquillo». Ecco che le navi arrivarono e gettarono l’ancora; lo zar-fanciulla mandò a chiamare Ivan figlio di mercante, perché andasse al più presto da lei; ma quello dormiva della grossa. Cercarono di svegliarlo, lo scossero, lo spinsero, ma per quanto facessero non riuscirono a svegliarlo; così rinunciarono.
Lo zar-fanciulla ordinò al servo di dire a Ivan figlio di mercante che il giorno dopo di nuovo si trovasse lì, poi fece levare le ancore e alzare le vele. Appena le navi si furono allontanate, il servo tolse lo spillino, e Ivan figlio di mercante si svegliò, saltò su e iniziò a gridare, perché lo zar-fanciulla tornasse indietro. No, è già lontana, non sente. Arrivò a casa triste, afflitto. La matrigna fece venire il servo nella sua stanza, lo fece ubriacare, gli chiese tutto quello che era successo e gli ordinò di appuntare lo spillino anche il giorno dopo. Il giorno seguente Ivan figlio di mercante andò a pesca, di nuovo dormì tutto il tempo e non vide lo zar-fanciulla; lei ordinò che si trovasse lì ancora una volta.
Il terzo giorno anche decise di andare a pesca con il servo; andarono al solito posto, videro di lontano arrivare le navi, il servo subito appuntò lo spillino, e Ivan figlio di mercante si addormentò profondamente. Le navi arrivarono, gettarono l’ancora; lo zar-fanciulla mandò a chiamare il suo fidanzato, perché andasse sulla sua nave. Cercarono di svegliarlo in ogni modo, ma per quanto facessero non riuscirono a svegliarlo. Lo zar-fanciulla riconobbe l’inganno della matrigna, il tradimento del servo e scrisse un biglietto a Ivan figlio di mercante dicendogli di tagliare la testa al servo e, se amava la sua promessa, di cercarla in un paese al di là dei monti e degli oceani, in un reame al di là dei monti e degli oceani. Appena le navi ebbero alzato le vele e furono in mare aperto, il servo tolse dal vestito di Ivan figlio di mercante lo spillino, e quello si svegliò, iniziò a gridare forte e a chiamare lo zar-fanciulla; ma lei era già lontana e non poteva sentire. Il servo gli consegnò la lettera dello zar-fanciulla; Ivan figlio di mercante la lesse, afferrò la sua sciabola affilata e tagliò la testa del perfido servo, poi scese in fretta a riva, andò a casa, salutò il padre e partì per il reame al di là dei monti e degli oceani.
Camminò senza una meta, passarono giorni o mesi, si fa prima in una favola a raccontarlo che nella realtà a farlo, arriva a una casetta; sta la casetta in aperta campagna, gira su delle zampe di gallina. Entrò nella casetta, dove stava la baba-jaga gamba ossuta. «Puah, puah!» dice. «Prima di russi non se ne vedevano e non se ne sentivano, ora ne arriva uno di sua iniziativa. Volente o nolente sei venuto, bravo giovane?» «Per quanto volente, nolente il doppio! Non sai per caso, baba-jaga, dov’è il reame al di là dei monti e degli oceani?» «No, non lo so!», disse la baba-jaga e gli consigliò di andare a chiedere alla sua sorella mediana.
Ivan figlio di mercante la ringraziò e andò avanti; cammina cammina, passarono giorni o mesi, arriva a una casetta simile alla prima; entrò e trovò una baba-jaga. «Puah, puah!» dice. «Prima di russi non se ne vedevano e non se ne sentivano, ora ne arriva uno di sua iniziativa. Volente o nolente sei venuto, bravo giovane?» «Per quanto volente, nolente il doppio! Non sai per caso dov’è il reame al di là dei monti e degli oceani?» «No, non lo so!», rispose la baba-jaga e gli consigliò di andare dalla sua sorella minore che, forse, lo avrebbe saputo. «Se si dovesse arrabbiare e volesse mangiarti, tu prendi le sue tre trombe e chiedi di poterle suonare: soffia piano nella prima, un po’ più forte nella seconda e molto forte nella terza». Ivan figlio di mercante ringraziò la baba-jaga e andò avanti.
Cammina cammina, passarono giorni o mesi, alla fine vide una casetta; sta in aperta campagna, gira su delle zampe di gallina; entrò e trovò una baba-jaga. «Puah, puah! prima di russi non se ne sentivano e non se ne vedevano, ora ne arriva uno di sua iniziativa!», disse la baba-jaga e andò ad affilarsi i denti, per mangiare l’ospite inatteso. Ivan figlio di mercante le chiese le tre trombe: nella prima soffiò piano, nella seconda un po’ più forte e nella terza molto forte. All’improvviso volarono lì da ogni parte ucceli di tutte le razze; volò anche l’uccello di fuoco. «Siediti svelto su di me» disse l’uccello di fuoco «e voleremo dove devi andare; altrimenti la baba-jaga ti mangerà!» Fece appena in tempo a sedersi, che arrivò di corsa la baba-jaga, afferrò l’uccello di fuoco per la coda e strappò parecchie penne.
L’uccello di fuoco volò via con Ivan figlio di mercante; per un bel pezzo lo portò per il cielo e giunse, alla fine, a un vasto mare. «Be’, Ivan figlio di mercante, il reame al di là dei monti e degli oceani è oltre questo mare; non ce la faccio a portarti fin dall’altra parte; cerca di arrivrci come puoi!» Ivan figlio di mercante scese dall’uccello di fuoco, lo ringraziò e si incamminò per la riva.
Cammina cammina, vide una casetta e vi entrò; lo accolse una vecchia stravecchia, lo rifocillò e gli chiese dove andava e perché era in viaggio. Lui le raccontò che andava nel reame al di là dei monti e degli oceani a cercare lo zar-fanciulla, la sua promessa sposa. «Ah!» disse la vecchieta. /laquo;Ormai non ti ama più; se le comparirai davanti agli occhi, lo zar-fanciulla ti farà a pezzi: il suo amore si è nascosto lontano!» «E come posso trovarlo?» «Aspetta un pochetto! Dallo zar-fanciulla vive mia figlia e oggi mi ha promesso di venire; forse tramite lei potremo sapere qualcosa». Allora la vecchietta trasformò Ivan figlio di mercante in uno spillo e lo ficcò nel muro; la sera volò lì sua figlia. La madre prese a chiederle se sapesse dove era nascosto l’amore dello zar-fanciulla. «Non lo so», rispose la figlia e giuròche si sarebbe informata presso lo zar-fanciulla in persona. Il giorno dopo di nuovo venne e disse alla madre: «Da quel lato del mare, dell’oceano, c’è una quercia, nella quercia c’è un baule, nel baule una lepre, nella lepre un’anatra, nell’anatra un ovetto, e nell’ovetto c’è l’amore dello zar-fanciulla!».
Ivan figlio di mercante prese da mangiare e si diresse al predetto luogo; trovò la quercia, tirò fuori il baule, da quello la lepre, dalla lepre l’anatra, dall’anatra l’ovetto e tornò con l’ovetto dalla vecchietta. Poco dopo era l’onomastico della vecchietta; invitò da lei lo zar-fanciulla e le trenta fanciulle, sue sorelle adottive; cuocette l’ovetto, mimetizzò Ivan figlio di mercante come la volta precedente e lo nascose.
Improvvisamente, a mezzogiorno, arrivano in volo lo zar-fanciulla e le altre trenta fanciulle: si misero a tavola e cominciarono a mangiare; dopo il pranzo, la vecchietta diede a ognuna un ovetto, e allo zar-fanciulla proprio quello che Ivan figlio di mercante aveva preso. Lei lo mangiò e in quell’attimo si innamorò follemente di ivan figlio di mercante. La vecchietta allora lo condusse da lei; che felicità, che allegria! Se ne andò lo zar-fanciulla insieme al fidanzato, il figlio di mercante, nel suo reame; si sposarono e vissero felici e contenti, diventando sempre più abbienti.

 

♦ “Masha e l’Orso e altre fiabe popolari russe”,
Raccolte da A. N. Afanas’ev

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Mignolino

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C’erano una volta un vecchio e una vecchia. Una volta la vecchia tagliò un cavolo per farci un pasticcio, sfiorò inavvertitamente col coltello la mano e si tagliò il dito mignolo; lo tagliò e lo gettò dietro la stufa. Improvvisamente la vecchia sentì da dietro la stufa qualcuno parlare con voce umana: «Mammina!Tirami su di qui». Quella, sbalordita, si fece il segno della croce e chiede: «Tu chi sei?». «Sono il tuo bambino, nato dal tuo ditino». La vecchia lo tirò su: era un bambinetto piccolo piccolo, si vedeva a stento! E lo chiamò Mignolino. «E dov’è mio padre?», chiede Mignolino. «È andato nel campo». «Vado da lui, ad aiutarlo». «Va’, bambino mio».
Arrivò al campo: «Vengo ad aiutarti, padre!». Il vecchio si guardò intorno. «Che cosa strana!» dice. «Sento una voce umana, ma non vedo nessuno. Chi è che mi sta parlando?» «Io, tuo figlio». «Ma se non ho mai avuto figli in vita mia!» «Sono appena venuto alla luce del giorno: la mamma stava tagliando un cavolo per farne un pasticcio, si è tagliata il dito mignolo, l’ha gettato dietro la stufa, ed eccomi qui: Mignolino! Sono venuto ad aiutarti ad arare la terra. Siediti, padre, mangia qualcosa e riposati un pochino!» Il vecchio, contento, si sedette a mangiare; Mignolino, intanto, si infilò nell’orecchio del cavallo e iniziò ad arare la terra; ma prima ordinò al padre: «Se qualcuno ti chiederà di avermi, vendimi senza esitare; non temere — non sparirò, a casa certo tornerò».
Ecco passare di lì un signore, guarda e si merviglia: il cavallo andava, l’aratro arava, ma non c’era anima viva! «Non mi era mai capitato» dice «di vedere o di sentire che un cavallo arasse per conto suo!» «Ma che, sei diventato cieco!» gli rispose il vecchio «È mio figlio che ara». «Vendimelo!» «No, non è in vendita l’unica gioia mia e della mia vecchia, l’unico conforto è lui!» «Vendimelo, vecchio!», insiste il signore. «Be’, dammi mille rubli ed è tuo!» «Così caro?» «Vedi bene tu stesso, il bambino ha poca mole, ma gran valore, è veloce di gamba e leggero da portare!» Il signore pagò i mille rubli, prese il bambino, se lo mise in tasca andò a casa. Ma Mignolino gli sporcò la tasca, fece un buco coi denti e se ne andò.
Cammina cammina, fu sorpreso dalla notte profonda; si nascose sotto un filo d’erba, vicino alla strada: si stende e si sta preparandoa dormire. Passano di lì tre ladri. «Salve, bravi giovani!», dice Mignolino. «Salute!» «Dove andate?» «Dal pope». «Perché?» «Per rubare dei tori». «Portatemi con voi!» «E a che ci serviresti? A noi serve un pezzo di ragazzo che se ti dà una botta ti ammazza!» «Andrò bene anch’io: scivolerò sotto la porta e vi aprirò da dentro». «Allora è un altro paio di maniche! Vieni con noi!»
Arrivarono dunque in quattro dal ricco pope; Mignolino scivolò sotto la porta, la aprì da dentro e dice: «Voi, fratellini, rimanete qui sulla porta, mentre io andrò nella stalla, sceglierò il miglior toro e ve lo porterò». «Bene!» Andò nella stalla e di là grida a squarciagola: «Quale toro devo prendere, marrone o nero?». «Non far rumore» gli dicono i ladri «prendi quello che ti capita sotto mano». Mignolino portò loro un toro coi fiocchi; i ladri condussero il toro nel bosco, lo sgozzarono, lo scuoiarono e iniziarono a dividersi la carne. «Be’, fratellini» dice Mignolino «io mi prendo la trippa: mi basterà questo». Prese la trippa e ci si mise sopra a dormire, la notte a passare; i ladri, intanto, si divisero la carne e tornarono ognuno a casa propria.
Arrivò correndo un lupo affamato e inghiottì la trippa con tutto il bambino; quello si ritrova da vivo nella pancia del lupo ma non gliene importa molto! Il grigio avrebbe fatto una brutta fine! Vede un gregge di pecore pascolare, il pastore dorme; appena si avvicina di soppiatto per rubare una pecora, allora Mignolino si mette a gridare a squarciagola: «Pastore, pastore, di pecore controllore! Tu dormi e il lupo ti sta soffiando una pecora!». Il pastore si sveglia, si getta sul lupo con un bastone e gli lancia contro i cani: i cani lo sbranarono, solo i pezzetti volarono! Per un pelo riuscì a fuggire il poverino!
Il lupo era diventato magrissimo, stava per morire di fame. «Esci!», chiede il lupo. «Portami a casa da mio padre e mia madre, allora uscirò», dice Mignolino. Corse il lupo al villaggio, arrivò dritto all’izbà del vecchio; Mignolino subito uscì dalla pancia del lupo da dietro, afferrò il lupo per la coda e gridò: «Addosso al lupo grigio, addosso!». Il vecchio prese un bastone, la vecchia un altro, e giù a battere il lupo; così lo fecero fuori, lo scuoiarono e fecero al figlio una bella pelliccia. E vissero felici e contenti.

 

♦ “Masha e l’Orso e altre fiabe popolari russe”,
Raccolte da A. N. Afanas’ev

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Il lupo imbecille

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C’era una volta in un villaggio un contadino, che aveva un cane; fin da quando era cucciolo, aveva fatto la guardia all’intera casa, ma, quando divenne molto vecchio, smise anche di abbaiare. Il padrone si stancò di lui; così si decise, prese una corda, la legò al collo del cane e lo portò nel bosco; lo portò fino a un salice e voleva impiccarlo, ma quando vide che sul muso del vecchio cane scorrevano lacrime amare, ne abbe pietà: si commosse, legò il cane al salice e se ne tornò a casa.
Rimase il povero cane nel bosco e cominciò a piangere e a maledire il suo destino. All’improvviso, da dietro i cespugli, salta fuori un enorme lupo, lo vede e dice: «Salve, cane pezzato! Era un bel po’ che ti aspettavo in visita. Una volta mi hai cacciato da casa tua; ma ora sei finito da solo tra le mie grinfie: farò di te ciò che più mi piacerà. Te la farò pagare per tutto!». «E cosa mi vuoi fare, lupacchiotto grigio?» «Non molto: ti mangerò con tutta la pelle e le ossa». «Ah, tu, sciocco di un lupo grigio che non sei altro! Sei tanto grasso che non sai nemmeno quello che fai; così, dopo un gustoso bue, ti metterai a mangiare la carne vecchia e rinsecchita di un cane? Perché vuoi rompere invano su di me i tuoi vecchi denti? La mia carne ora è proprio un ammasso putrefatto. Ti darò io, invece, un buon consiglio: va’ e portami una cinquantina di chili di buona carne di giumenta, rimettimi un po’ in sesto e poi fa’ di me ciò che vuoi».
Il lupo diede ascolto al cane, andò e gli portò mezza giumenta: «Eccoti della buona carne di manzo! Vedi di rimetterti in sesto». Così disse e se ne andò. Il cane si gettò sulla carne e la finì tutta. Dopo due giorni torna il vecchio imbecille e dice al cane: «Allora, fratello, ti sei rimesso o no?». «Un pochino; certo che, se tu mi portassi ancora per esempio una pecora, la mia carne diventerebbe molto, ma molto più dolce!» Il lupo acconsentì anche a questo, corse in aperta campagna, si stese in un valloncello e rimase di guardia, nell’attesa che il pastore portasse al pascolo il suo gregge. Ecco che il pastore porta al pascolo il gregge; il lupo avvistò da dietro un cespuglio una pecora, che era più grassa e più grande delle altre, saltò fuori e le si avventò contro: la afferrò per il collo e la trascinò dal cane. «Eccori la tua pecora, rimettiti in sesto!»
Iniziò il cane a rifocillarsi, finì la pecora e sentì di avere di nuovo le sue forze. Arrivò il lupo e chiede: «Allora, fratello, come stai ora?». «Ancora un po’ deboluccio. Certo che, se tu mi portassi ancora per esempio un montone, allora diventerei bello grasso come un porcello!» Il lupo rimediò anche il montone, glielo portò e dice: «Questa è la mia ultima fatica! Tra due giorni tornerò a farti visita!». “Ma bene” pensa il cane “ti aggiusterò io.” Dopo due giorni va il lupo dal cane ben nutrito, ma il cane lo vide da lontano e iniziò ad abbaiargli contro. «Ah, tu, cagnaccio dannato» disse il lupo grigio «osi ringhiare a me?», e qui si gettò sul cane e voleva divorarlo. Ma il cane, che ormai era in forze, si ribellò al lupo e iniziò a dargliene tante che volavano solo i peli del grigio. Il lupo si liberò e via, il più veloce possibile: corse per un bel pezzo, poi volle fermarsi, ma quando sentì il latrato del cane, di nuovo partì in quarta. Corse fin nel bosco, si stese sotto un cespuglio e prese a leccarsi le ferite che aveva rimediato dal cane. «Dio, come mi ha ingannato quel maledetto cagnaccio!» dice il lupo tra sé e sé. «Basta, ora chiunque incontrerò, quello non si salverà dai miei denti!»
Si leccò il lupo le ferite e andò a caccia. To’: sulla collina c’è un enorme caprone; gli si avvicina e dice: «Caprone, ehi, caprone! Sono venuto a mangiarti!». «Ah, tu, lupo grigio! Perché vuoi rompere invano i tuoi vecchi denti su di me? È meglio che tu resti ai piedi della collina e spalanchi le tue larghe fauci; io prenderò la rincorsa e mi butterò dritto nella tua bocca, così dovrai solo inghiottirmi!» Il lupo si mise ai piedi della collina e spalancò le sue larghe fauci, mentre il caprone, un furbone, volò dalla collina come una freccia, colpì il lupo in fronte tanto forte che quello crollò. E del caprone neppure più l’ombra! Dopo circa tre ore, il lupo riprese i sensi, gli sembrava che la testa gli scoppiasse dal dolore. Iniziò a pensare se aveva inghiottito il caprone oppure no. Pensa che ti ripensa, vallo a sapere! «Se avessi mangiato il caprone, avrei la pancia un po’ più piena; evidentemente quel perdigiorno mi ha ingannato! Be’, la prossima volta saprò come comportarmi!»
Così disse il lupo e andò al villaggio, vide una scrofa con i piccoli e si gettò su un porcellino per afferrarlo; ma la scrofa glielo impedisce. «Ah, tu, faccia porcina!» le dice il lupo. «Come osi fare l’insolente? Allora sbranerò anche te, e dei tuoi piccoli farò un sol boccone». Ma la scrofa rispose: «Be’, fino a ora non ti ho insultato; ma ora ti dico che sei un emerito imbecille!». «Come?» «Certo! Giudica tu stesso, grigio: come puoi mangiare i miei piccoli? Eppure sono nati da poco. Bisogna ancora bagnarli con l’acqua benedetta. Fammi da compare, io ti farò da comare, e li battezzeremo, poveri piccini miei». Il lupo acconsentì.
Bene, arrivarono a un grande mulino. La scrofa dice al lupo: «Tu, caro compare, resta da questo lato, dove non c’è acqua, mentre io andrò i miei piccoli nell’acqua pulita a bagnare per poterli a te solo servire». Il lupo si rallegrò, pensa: “Ecco che mi capita in bocca una bella preda!”. Andò il vecchio imbecille sotto il ponte, la scrofa subito afferrò il fermo coi denti, lo sollevò e lasciò scorrere l’acqua. L’acqua fece un gran gorgo e trascinò con sé il lupo, facendolo volteggiare. La scrofa, invece, coi piccoli se ne tornò a casa: arrivò, mangiò a volontà insieme ai figli e si stesero su morbidi giacigli.
Il lupo grigio riconobbe l’astuzia della scrofa, a fatica in qualche modo riuscì a trascinarsi a riva e a stomaco vuoto andò a vagabondare per il bosco. A lungo soffrì per la fame, non ce la fece più, andò di nuovo al villaggio e vide che davanti a un’aia c’era una carogna. “Bene” pensa “quando verrà la notte, mi sazierò almeno con questa carogna.” Il lupo, che era in un brutto periodo, si rallegrò di poter mangiare almeno una carogna! Sempre meglio che i denti per la fame schioccare e canzoni da lupo cantare. Arrivò la notte; il lupo entrò nell’aia e prese a divorare la carogna. Ma un cacciatore già da tempo lo stava aspettando al varco e aveva preparato per l’amico un paio di belle noci; gli sparò, e il lupo grigio cadde con la testa rotta. Così finì i suoi giorni il lupo grigio!

 

♦ “Masha e l’Orso e altre fiabe popolari russe”,
Raccolte da A. N. Afanas’ev

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Ivanuška, lo scioccone

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C’erano una volta un vecchio e una vecchia che avevano tre figli: due intelligenti, il terzo — Ivanuška lo scioccone. Quelli intelligenti pascolavano il gregge nei campi, mentre lo stupido non faceva niente, stava sempre seduto sulla stufa e acchiappava le mosche. Una volta la vecchia preparò degli gnocchi di segale, e dice allo sciocco: «Su, porta gli gnocchi ai tuoi fratelli; che mangino». Riempì una pentola e gliela mise in mano; quello si avviò piano piano dai fratelli. Era una giornata di sole; appena uscì Ivanuška dal villaggio, vide la sua ombra accanto e pensa: “Chi è quest’uomo che mi segue e non mi si stacca di un passo? Vuole forse gli gnocchi?”. E prese a gettare sulla sua ombra gli gnocchi, uno dopo l’altro, fino all’ultimo; guarda, ma l’ombra c’è ancora. «Che pozzo senza fondo!», disse lo scioccone in collera, e lanciò su di essa la pentola, i cui pezzi volaronoda ogni parte.
Arriva quindi a mani vuote dai fratelli; quelli gli chiedono: «Perché sei venuto, sciocco?». «Per portarvi il pranzo». «E dove sta? Daccelo alla svelta». «Vedete, fratellini, per la strada mi si è attaccato uno sconosciuto e ha mangiato tutto!» «Quale sconosciuto?» «Eccolo! C’è ancora!» I fratelli giù a insultarlo, batterlo, picchiarlo; lo picchiarono per bene e lo lasciarono a pascolare il gregge, mentre loro tornarono al villaggio per mangiare.
Lo scioccone si mise a pascolare: vide che le pecore si disperdevano per il campo, e allora giù ad acchiapparle e a strappar loro gli occhi; quando le ebbe acchiappate tutte e a tutte ebbe cavato gli occhi, raggruppò il gregge e si sedette, molto contento di aver fatto un bel lavoro. I fratelli pranzarono, tornarono al campo. «Che hai fatto, sciocco? Perché il gregge è accecato?» «E a che gli servivano gli occhi? Appena ve ne siete andati, fratellini, le pecore si sono sparpagliate; così ho pensato: è meglio acchiapparle, raggrupparle e accecarle; e quanto mi sono stancato!» «Fermo, ancora non sei poi tanto stanco!», dicono i fratelli e giù a dargli un sacco di pugni; lo sciocco ebbe proprio ciò che si meritava!
Passò del tempo, né molto, né poco; i vecchi mandarono Ivanuška lo scioccone al mercato in città a fare compere. Ivanuška comprò un po’ di tutto: comprò un tavolo, dei cucchiaini, delle tazze e del sale; caricò il carro di tutte queste cose. Sulla strada di casa il cavallo era talmente stanco che tirava a malapena! “To’” pensa tra sé Ivanuška “il cavallo ha quattro zampe, ma anche il tavolo ne ha quattro; quindi il tavolo può tornare da solo». Prese il tavolo e lo mise in mezzo alla strada. Cammina cammina, poco o molto, ecco delle cornacchie volargli sopra la testa e gracchiare. «Devono avere voglia di mangiare, le sorelline, senti come gridano!», pensò lo scioccone; mise dei piatti con del cibo per terra e iniziò a offrire: «Sorelline-piccioncine, assaggiate e che buon pro vi faccia!». E lui si rimise in marcia.
Passa Ivanuška per un boschetto; sulla strada tutti i ceppi erano bruciacchiati. “Eh” pensa “i ragazzi sono senza cappello; si raffredderanno, poverini!” Prese a infilarci sopra pentole e terrine. Arrivò quindi Ivanuška a un fiume, fece abbeverare il cavallo, ma quello non beve. «Forse non gli piace senza sale!», e salò l’acqua. Versò un intero sacco di sale, ma il cavallo ancora non beve. «Perché allora non bevi, carne da macello! Ho forse sprecato un sacco di sale?» Lo colpì con un bastone, e proprio sulla testa, e lo freddò. Rimase a Ivanuška solo una borsa con i cucchiaini, che si caricò in spalla. Si mette in cammino; i cucchiaini gli tintinnano sulla schiena: tin, tin, tin! Quello pensa che i cucchiaini dicano: «Ivanuška-cretin!», li buttò per terra, li calpestò e intanto diceva: «Eccovi Ivanuška-cretin! Eccovi Ivanuška-cretin! Così la finirete di sfottermi, monellacci!».
Tornò a casa e dice ai fratelli: «Ho comprato tutto, fratellini!». «Grazie, sciocco, ma dove hai messo le compere?» «Il tavolo viene da solo, ma credo che sia in ritardo, dai piatti mangiano le sorelline, le pentole e le terrine le ho messe in testa ai ragazzi nel bosco, col sale ho salato il beveraggio al cavallo, i cucchiaini invece mi sfottevano e allora li ho piantati per la strada». «Corri, sciocco, raccogli alla svelta tutto quello che hai seminato per la strada». Ivanuška andò nel bosco, tolse dai ceppi bruciacchiati le terrine, le bucò nel fondo e le infilò tutte su di un bastone: le piccole e le grandi. Porta il tutto a casa. I fratelli lo bastonarono; andarono loro in città a far compere, e lasciarono lo sciocco a badare alla casa. Lo sciocco sente la birra nel tino che fermenta, fermenta. «Birra, non fermentare, lo sciocco non insultare!», dice Ivanuška. No, la birra non gli dà ascolto; prese e la rovesciò tutta fuori dal tino, lui si sedette in un mastello, per l’izbà navigò, tante canzoni cantò.
Tornarono i fratelli, si arrabbiarono davvero molto, presero Ivanuška, lo chiusero in un sacco e lo trascinarono fino al fiume. Poggiarono il sacco sulla riva e andarono a ispezionare un buco nel ghiaccio. Nel frattempo, stava passando lì vicino un signore su di una trojka tirata da tre cavalli bruni; Ivanuška giù a gridare: «Mi hanno incaricato di giudicare e comandare una provincia, ma io non so né giudicare, né comandare!». «Un attimo, sciocco» disse il signore «io so e giudicare e comandare; esci dal sacco!» Ivanuška uscì dal sacco, ci chiuse il signore e sedette nel suo veicolo, che scomparve.Tornarono i fratelli, buttarono il sacco sotto il ghiaccio e lo sentono gorgogliare nell’acqua. «Starà facendo dei gargarismi!», dissero i fratelli e si incamminarono verso casa. Da non si sa dove, viene loro incontro Ivanuška in trojka, va sul carro e dice, facendo il gradasso: «Visto che bei cavallucci ho rimediato! E ce n’è rimasto ancora uno grigio che è una meraviglia!». I fratelli, invidiosi, dicono allo sciocco: «Adesso metti noi nel sacco, e calaci in fretta nel buco! Non ci sfuggirà il grigio…». Li calò Ivanuška lo scioccone nel buco e tornò a casa una birra a tracannare, i fratelli a ricordare. Ivanuška aveva un pozzo, in quel pozzo nuotava un ghiozzo, la mia favola è finita da un pezzo.

 

♦ “Masha e l’Orso e altre fiabe popolari russe”,
Raccolte da A. N. Afanas’ev

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Il sogno profetico

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C’era una volta un mercante che aveva due figli: Dmitrij e Ivan. Una sera, benedicendoli per la notte, il padre disse loro: «Domani, cari figli, mi racconterete i vostri sogni; chi di voi mi nasconderà il suo sogno, sarà messo a morte». Il mattino dopo arriva il figlio maggiore e racconta al padre: «Ho sognato, padre, che mio fratello Ivan volava alto nel cielo, sorretto da dodici aquile; e ancora, che tu avevi perso la tua pecora preferita». «E tu, Vanja cosa hai sognato?» «Non te lo dico», rispose Ivan. Il padre aveva un bell’insistere, quello si era incaponito e rispondeva a tutte le esortazioni: «non te lo dico!» e «non te lo dico!». Il mercante si arrabbiò, chiamò i suoi commessi e ordinò loro di afferrare il figlio ribelle, di denudarlo e di legarlo a un palo sulla strada maestra.
I commessi afferrarono Ivan e, come era stato detto, lo legarono, nudo, stretto stretto al palo. Il povero ragazzo se la passava molto male: il sole lo cuoce, le zanzare lo pizzicano, la fame e la sete lo tormentano. Passò per quella strada un giovane principe; vide il figlio del mercante, ne ebbe pietà e lo fece liberare, gli diede i suoi abiti, lo portò con sé a palazzo e gli domandò: «Chi ti ha legato al palo?». «Mio padre in collera». «Per quale manchevolezza?» «Non ho voluto raccontargli quel che avevo sognato». «Ah, come è stupido tuo padre, che punisce in modo tanto crudele per delle sciocchezze simili… E cosa avevi sognato?» «Non te lo dico, principe!» «Come? Osi parlarmi a questo modo dopo che ti ho salvato la vita? Parla ora, o guai a te!» «Non l’ho detto a mio padre e non lo dirò mai neanche a te!» Il principe lo condannò alla prigione; accorsero subito dei soldati e chiusero lo sventurato in una segreta.
Passò un anno, il principe decise di prendere moglie, si equipaggiò e partì per un lontano reame, per chiedere la mano di Elena la Bella. Il principe aveva una sorella; poco tempo dopo la sua partenza, le capitò di passeggiare vicino alla prigione. La vide dalla feritoia Ivan figlio di mercante e gridò molto forte: «Di grazia, principessa, liberami; forse un giorno ti sarò utile! So, infatti, che il principe è andato a chiedere la mano di Elena la Bella; ma senza di me non si sposerà, e forse con la testa pagherà. Probabilmente sai quanto è scaltra Elena la Bella e quanti pretendenti ha spedito all’altro mondo». «E aiuterai il principe?» «Lo aiuterei, ma le ali del falco sono legate». La principessa subito ordinò di farlo uscire dalla prigione. Ivan figlio di mercante si scelse dei compagni: erano in tutto dodici, compreso Ivan, e si somigliavano come fratelli gemelli, sia per corporatura, che per voce e capelli. Si vestirono con abiti assolutamente identici, della stessa misura, montaronosu dei bei destrieri e si misero in cammino.
Cavalcarono un giorno, due, tre; il quarto giorno giunsero ai margini di una fitta foresta da dove provenivano grida terribili. «Fermi, fratellini!» dice Ivan. «Aspettate un attimo, vado a vedere che succede». Scese da cavallo e corse nella foresta; guarda: al centro di una radura tre vecchi discutono. «Buongiorno, nonni! Perché questa baruffa?» «Ah, giovanotto! Nostro padre ci ha lasciato in eredità tre cose portentose: un berretto-non ti vedo, un tappeto volante e degli stivali-sette leghe; ma sono già settant’anni che discutiamo e non siamo ancora riusciti a decidere come dividerceli». «Volete vi faccia da arbitro?» «Ci faresti un favore!» Ivan figlio di mercante tese il suo arco potente, ci mise tre frecce e le tirò in tre direzioni diverse; ordina a uno dei vecchietti di correre a destra, al secondo di correre a sinistra e il terzo lo manda dritto davanti a sé: &laquoIl primo di voi che mi riporterà una freccia avrà il berretto-non ti vedo; chi arriverà per secondo avrà il tappeto volante; e che l’ultimo prenda gli stivali-sette leghe». Mentre i tre vecchietti correvano dietro alle frecce, Ivan figlio di mercante si appropriò dei tre portenti e tornò dai suoi compagni. «Fratellini» dice «lasciate liberi i vostri cavalli e salite con me sul tappeto volante».
Tutti sedettero di corsa sul tappeto volante e volarono verso il reame di Elena la Bella; giunti alle porte della capitale, si posarono e partirono alla ricerca del principe. Arrivarono nella sua corte. Il principe chiese loro: «Che volete?». «Prendici al tuo servizio; siamo bravi giovani, ci occuperemo di te e non avremo a cuore che il tuo bene». Il principe li al suo servizio e destinò chi alla cucina, chi alle stalle, ecc. Il giorno stesso, indossò il principe i suoi abiti della festa e andò a presentarsi a Elena la Bella. lei lo accolse gentilmente, gli offrì cibi e vini preziosi e poi gli domandò: «Di’ francamente, principe, perché sei venuto da noi?». «Vorrei, Elena la Bella, chiedere la tua mano; vuoi sposarmi?» «Non dico di no, ma prima devi portare a termine tre prove. Se ci riesci, sarò tua, altrimenti, la tua testa cadrà sotto un’ascia affilata». «Qual è la prima prova?» «L’avrò domani, ma non ti dico cosa; ingegnati, principe, e portami ciò con cui potrà fare il paio».
Il principe rientrò a casa affranto, desolato. Gli chiede Ivan figlio di mercante: «Perché sei triste, principe? Elena la Bella ti ha per caso contrariato? Dividi la tua pena con me, ti sentirai sollevato». «Ecco» risponde il principe «mi ha proposto Elena la Bella un indovinello che nessun saggio al mondo saprebbe risolvere». «Bah, non è ancora il peggiore dei mali! Dì’ le tue preghiere e mettiti a letto; la notte porta consiglio, domani prenderemo una decisione». Il principe si mise a dormire e Ivan figlio di mercante si mise il berretto-non ti vedo e gli stivali-sette leghe e via! a palazzo da Elena la Bella; entrò dritto nella sua camera da letto e si mette in ascolto. Intanto, Elena la Bella stava dando questi ordini alla sua cameriera preferita: «Prendi questa stoffa preziosa e portala al ciabattino; che mi faccia una scarpetta per il mio piede, e al più presto».
La cameriera corse dove doveva, seguita da Ivan. L’artigiano si mise subito all’opera, fece svelto la scarpetta e l poggiò sul davanzale della finestra; Ivan figlio di mercante prese la scarpetta e zitto zitto se la nascose in tasca. Il povero ciabattino si affannò, ma il lavoro gli era scomparso da sotto il naso; cercava, cercava, frugò in ogni angolo, ma invano! “Questa poi!” pensa. “Scommetto che è uno scherzo del diavolo”. Niente da fare: fu costretto a riprendere la lesina e a fabbricare un’altra scarpetta, che portò a Elena la Bella. «Che lumaca!» disse Elena la Bella. «Ce ne hai messo di tempo per fare una sola scarpetta!» Si sedette al suo tavolo da lavoro, ricamò in oro la sua scarpetta, applicò delle grosse perle e delle pietre preziose. Intanto Ivan, sempre invisibile, tirò fuori l’altra scarpetta e fece la stessa cosa: per ogni pietruzza che lei sceglie, lui ne prende una uguale; dove lei attacca le perline, là le mette anche lui. Terminato il suo lavoro, Elena la Bella dice con un sorriso: «Che mi porterà domani il principe?». “Aspetta e vedrai”, pensa Ivan “non si sa ancora chi avrà ingannato l’altro!”
Rientrò a casa e si mise a dormire; alzatosi all’alba, si vestì e andò a svegliare il principe; lo svegliò e gli consegna la scarpetta: «Vai» dice «da Elena la Bella e mostrale questa scarpetta: così avrai risolto la sua prima prova!». il principe si lavò, mise i suoi abiti più belli e si affrettò verso la sua promessa; gli appartamenti di lei erano pieni di ospiti: boiari e alti dignitari, cortigiani. Appena arrivò il principe, la musica prese a suonare, gli invitati si alzarono, i soldati presentarono le armi. Elena la Bella tirò fuori la sua scarpetta ornata di perle e decorata di pietre preziose; guarda il principe, con un sorriso beffardo. Le dice il principe: «È molto carina quella scarpa, ma non vale niente se è spaiata! Lascia che ti offra la compagna!» A queste parole, prese dalla tasca l’altra scarpetta e la posò sul tavolo. Tutti gli invitati applaudirono, gridando come un sol uomo: «Bravo, principe! Siete degno di sposare la nostra sovrana, Elena la Bella». «È quel che vedremo!» replicò Elena la Bella. «Che porti a termine la prova successiva».
Il principe rientrò a casa la sera tardi con il viso più cupo che mai. «Basta affliggersi, principe!» gli disse Ivan figlio di mercante. «Di’ le tue preghiere e mettiti a letto; la notte porta consiglio». Lo mise a letto, poi si infilò gli stivali-sette leghe e il berretto-non ti vedo e corse a palazzo da Elena la Bella. Quella, intanto, stava dando ordini alla sua cameriera preferita: «Va’ in fretta nel pollaio e portami una papera». La cameriera corse al pollaio, seguita da Ivan; la cameriera prese una papaera, Ivan invece un papero, e tornarono indietro da dove erano venuti. Elena la Bella si sedette al tavolo da lavoro, prese la papera, le adornò le ali con dei nastri e il ciuffo con dei brillanti; Ivan figlio di mercante guarda e fa altrettanto con il papero. Il giorno dopo, la principessa aveva di nuovo ospiti, di nuovo un’orchestra; tirò fuori la sua papera e domanda al principe: «Hai risolto il mio problema?». «Ma certo, Elena la Bella! Ecco un maschio per la tua papera», e lascia subito libero il papero… Allora i boiari gridarono tutti come un sol uomo: «Bravo, principe! Siete degno di sposare Elena la Bella». «Un po’ di pazienza, che porti a termine, prima, la terza prova».
La sera, il principe rientrò a casa talmente afflitto che non vuole neanche parlare. «Non ti abbattere, principe, è meglio se vai a dormire; la notte porta consiglio», disse Ivan figlio di mercante; si affrettò poi a infilare il berretto-non ti vedo e gli stivali-sette leghe, e corse da Elena la Bella. Quella si stava preparando per andare in riva al mare blu, montò in carrozza e partì a spron battuto; ma Ivan figlio di mercante non la molla di un passo. Giunse Elena la Bella in riva al mare e prese a chiamare il nonno. Le onde si ingrossarono e emerse dall’acqua un vecchio, con la barba d’oro e i capelli d’argento. Venne a riva: «Salve, nipotina! È da tanto tempo che non ci vediamo; cercami un po’ in testa». Si stese, mise la testa sulle ginocchia di lei e si addormentò di un sonno profondo; Elena la Bella cerca in testa al vecchio, mentre Ivan figlio di mercante sta in piedi dietro si lei.
Lei vede che il vecchio si è addormentato e gli strappa tre capelli d’argento; Ivan figlio di mercante, invece, non tre capelli, ma tutto un ciuffo afferrò. Il vecchio si svegliò e gridò: «Ma sei diventata matta? Mi fai male!». «Scusami, nonno! Da tanto tempo non ti ho pettinato, i capelli si sono impicciati». Il vecchio si calmò e poco dopo riprese a russare. Elena la Bellagli strappò tre peli d’oro; Ivan figlio di mercante, invece, afferrò la barba, a rischio di strapparla tutta intera. Il vecchio urlò in modo terribile, saltò in piedi e si gettò in mare. “Questa volta, principe, ti ho in pugno!” pensa Elena la Bella. “Non potrai di certo procurarti capelli simili”. Il giorno dopo si riunirono da lei gli ospiti; arrivò anche il principe. Elena la Bella gli mostra i tre capelli d’argento e i tre peli d’oro e chiede: «Hai mai visto una meraviglia simile?». «Hai trovato di che vantarti! Se vuoi, te ne posso dare una ciocca intera». Tirò fuori e le diede una ciocca di capelli d’argento e una di peli d’oro.
Furiosa, Elena la Bella corse in camera sua e guardò nel suo libro di magia, per sapere se il principe indovinava tutto da solo o si faceva aiutare. Vede dal libro che non è lui il furbacchione, ma il suo servo Ivan figlio di mercante. tornò dai suoi invitati e si appicciccò al principe: «Mandami il tuo servo preferito». «Ne ho dodici». «Voglio quello che si chiama Ivan». «Ma si chiamano tutti Ivan». «Bene», dice «che vengano tutti!», e intanto pensa: “Scoprirò il colpevole anche senza di te!”. Il principe diede l’ordine e, poco dopo, ecco apparire a palazzo dodici bei giovanotti, i suoi fedeli servitori; tutti uguali di viso, di corporatura, di voce e di capelli. «Chi tra voi è il più vecchio?», chiese Elena la Bella. «Io! Io!», gridarono in coro. “Ah ah”, pensa lei “la partita sarà dura!”, e fece portare undici coppe normali e la dodicesima d’oro, quella da cui lei stessa beveva abitualmente; riempì le coppe di vino pregiato e le offrì ai giovani. Nessuno di loro volle la coppa normale, tutti tesero la mano verso quella d’oro e se la disputarono tra loro; una gran cagnara combinarono e il vino per terra versarono!
Elena la Bella vede che la sua trappola non ha funzionato; ordinò di dar loro una buona cena, di dissetarli e di farli dormire a palazzo. La notte, mentre quelli dormivano della grossa, andò da loro con il suo libro di magia, consultò il libro e scoprì subito il colpevole; prese delle forbici e gli tagliò una ciocca di capelli dalla fronte. «Lo riconoscerò domani per questo segno e lo darò in mano al carnefice». Il mattino dopo, Ivan figlio di mercante, al suo risveglio, portò la mano alla tempia e sentì che gli avevano tagliato una ciocca; si alzò di corsa dal letto e scosse i suoi compagni: «Basta dormire, un pericolo ci minaccia! Prendete delle forbici e tagliatevi un ciuffo dalla tempia». Un’ora dopo, Elena la Bella li mandò a chiamare, e prese a cercare il colpevole; ma cosa era successo? Chiunque guardasse — tutti avevano una tempia senza ciuffo! Dalla rabbia, prese il suo libro di magia e lo gettò nella stufa. Dopodiché non poté più trovare nessuna scusa, fu costretta a sposare il principe. Il matrimonio fu dei più gioiosi; per tre giorni di fila il popolo si ubriacò, per tre giorni di fila osterie e taverne restarono aperte a chiunque: bevande e cibo gratis!
Terminati i festeggiamenti, il principe si preparò a tornare nel suo paese con la giovane moglie; inviò in avanscoperta i suoi dodici servi. All’uscita della città, stesero il tappeto volante, ci salirono e andaronopiù su delle nuvole vagabonde; volarono, volarono e si posarono proprio ai margini di quella fitta foresta dove avevano lasciato i loro destrieri. Fecero appena in tempo a scendere dal tappeto, che arrivò di corsa uno dei vecchietti con una freccia in mano. Ivan figlio di mercante gli diede il berretto-non ti vedo. Arrivò poi il secondo vecchietto e ottenne il tappeto volante; ed ecco il terzo: a quello toccarono gli stivali-sette leghe. Ivan dice ai suoi compagni: «Sellate i vostri cavalli, fratellini, è tempo di rimettersi in cammino». Presero subito i cavalli, li sellarono e partirono verso il loro paese natale. Arrivarono e andarono dritti dalla principessa; quella, molto contenta di rivederli, li interrogò sul suo caro fratello, sul suo matrimonio e chiese loro se sarebbe tornato presto. «Come ricompensarvi» chiede «dei vostri servizi?» Al che Ivan figlio di mercante risponde: «Rimettimi in prigione, nella mia vecchia cella». La principessa protestò, ma lui insisteva; dei soldati lo presero e lo riportarono in prigione.
Un mese dopo il principe arrivò con la sua giovane sposa; l’accoglienza fu solenne: musica, salve di cannone, campane a festa, fola compatta! Boiari, dignitari di ogni grado vennero a presentarsi al principe; lui li passò in rivista e chiese: «Dov’è Ivan, il mio fedele servitore?». «In prigione», gli rispondono. «Come in prigione? Chi ha osato mettercelo?» La principessa gli spiega: «Ma sei stato tu, fratellino mio, che l’hai preso in odio e hai ordinato di tenerlo sotto stretta sorveglianza. Non ti ricordi? Ti sei infuriato perché si era rifiutato di raccontarti il suo sogno». «Era dunque lui?» «In persona; l’avevo liberato momentaneamenteperché ti venisse in aiuto». Il principe fece condurre Ivan figlio di mercante, gli si gettò al collo e gli chiese perdono per il male che gli aveva fatto. «Sai, principe» gli dice Ivan «io già sapevo tutto quello che ti sarebbe successo; tutto questo l’avevo visto in sogno; perciò mi sono rifiutato di parlare». Il principe lo nominò generale, gli diede dei ricchi domini e lo tenne con sé a palazzo. Ivan figlio di mercante fece venire suo padre, suo fratello maggiore e vissero insieme felici e contenti, diventando sempre più abbienti.

 

♦ “Masha e l’Orso e altre fiabe popolari russe”,
Raccolte da A. N. Afanas’ev

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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Solo un altro lunedì…

DAY IN HELL – EXILIA

 

Dear president and plastic wife
I fell wrong and nothin’s right
I never was a princess
I never had a lucky star

No fucking fairy tale life
No more angels, no more chances

Gotta fight for my dream
Gotta think about me

Ready or not – ready or not – ready or not

It’s just another day, it’s just another day
Another day in hell
It’s just another day, another motherfacking day
it’s just another day
Another day in hell

Dear president and plastic wife
I see black and you see white
I never had no better time
No better place, no better life

Don’t forget where I come from
No destination for my world

It’s your perfect boomtown
My generation is burning down

Ready or not – ready or not – ready or not

It’s just another day, it’s just another day
Another day in hell
It’s just another day, another motherfacking day
it’s just another day
Another day in hell

I see, I see the pistols now
Hanging low on leather belts
I see cops forming a police line
I hear shots making world headline
There’s a war on what I believe in,
There a source for the pain in my head,
Everyday of my life
They push me right to the edge and they scream

Jump,it’s just another day
Jump,it’s just another day
Jump,it’s just another day

It’s just another day, it’s just another day
Another day in hell
It’s just another day, another motherfacking day
it’s just another day
Another day in hell

 
 

Si sa, in genere il lunedì è ILday in hell” per eccellenza, ma in quest’ultimo periodo questa ‘suggestiva’ immagine si sta facendo costante. È una di quelle fasi in cui tutto ciò che può andare storto non manca di farlo, alla faccia della mia buona volontà per imparare a cercare sempre il lato positivo delle cose.

Non sono arrabbiata, né demoralizzata, sono solo un po’ stanca di ritrovarmi ad affrontare ogni giorno come fosse una battaglia.

La voglia di fare non manca, l’impegno nemmeno, vorrei solo riuscire a gestire tutto in maniera un po’ più serena, che si tratti di entusiasmanti novità o di assillanti preoccupazioni, ma proprio non mi riesce. La mia tendenza a ingigantire le cose, al momento, mi sta un po’ fregando, bloccandomi proprio in una fase cruciale, in cui i passi già fatti richiederebbero un minimo di equilibrio per consolidarsi, equilibrio che io fatico a trovare.

Cambiare non è mai facile, soprattutto quando il cambiamento non si sostituisce alla quotidianità corrente, ma vi si sovrappone, sotto forma di prospettiva per un futuro diverso. Tenere in piedi entrambe le cose richiede un livello di stabilità che, per ora, sembra essere fuori dalla mia portata e, anche se la determinazione è tanta, fatica e stanchezza la seguono a ruota.

Tornare a scrivere dopo tanto silenzio è uno dei compiti che mi sono auto-assegnata, perché in questi giorni mi è tornato in mente quante volte io abbia sostenuto, nei vari blog, che per me “scrivere è respirare”, e allora, forse, in questa situazione di apnea riprendere a scrivere potrebbe essere un modo, IL modo, per riprendere anche a respirare.

Il tempo è poco, il lavoro e lo studio lo assorbono quasi tutto, ma questa non può essere una scusante per sfruttare male quel che resta, quindi rieccomi qui, a tentare di mettere nero su bianco pensieri ed emozioni.
Durante le vacanze ho ripreso a leggere: almeno mezz’ora al giorno, questo è il nuovo accordo con me stessa. Allo stesso modo credo sia arrivato il momento di negoziare anche sullo scrivere: chissà se io e me riusciremo a trovare un compromesso accettabile…

 
 

Rompiamo il Silenzio!

 
 

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